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POTENZA – C’era solo lui: Vincenzo Pascali. Restivo è scomparso dalla
scena. Elisa è tornata nell’ombra. Il «numero uno», come lui stesso ama
definirsi, l’allievo prediletto di Angelo Fiori, “pioniere” dell’esame del
Dna per scopi giudiziari in Italia, ha tenuto botta per due ore. Ha
attaccato a testa bassa il lavoro dei militari del Ris. Li ha bacchettati
neanche se fossero degli scolaretti.
È iniziata ieri mattina ed è proseguita fino a serata inoltrata la terza
ed ultima udienza dell’incidente probatorio sul caso Claps, dedicata all’esame delle perizie genetiche sui reperti prelevati dal sottotetto
della chiesa della Trinità.
Per primo ha preso la parola il direttore del Dipartimento di genetica
dell’Università cattolica di Roma, Vincenzo Pascali, sfiduciato dalla
procura di Salerno dopo una serie di censure al suo operato, sollevate da
Patrizia Stefanoni della sezione di genetica forense del servizio di
polizia scientifica di Roma. Ieri mattina era presente anche lei in aula
assieme a un altro dei periti incaricati dal gip, la paleontologa Eva
Sacchi, che è stata chiamata in causa più volte proprio da Pascali.
Il professore ha retto all’urto delle domande del pm Rosa Volpe sfoggiando
sicurezza e un eloquio sensazionale, ma davanti all’insistenza del gip
Attilio Orio a un certo punto ha ceduto come di schianto. Ha chiesto scusa
più e più volte. Ha ammesso di aver scritto la relazione di fretta,
addirittura in una sola notte. Ha cercato di giustificarsi spiegando di
aver fatto tutto il lavoro nell’arco di tre mesi, mentre gli altri periti
incaricati hanno avuto molto più tempo. Terminate le domande è andato via senza assistere al prosieguo
dell’udienza. È uscito fuori dal Tribunale ed è tornato quello di prima. Ha
affrontato una schiera di giornalisti, trascinandosi una gamba con le
stampelle. A chi gli chiedeva se aveva mai subito ingerenze nel suo lavoro
da ambienti clericali, ha risposto di non aver protetto “colletti bianchi”
di sorta. Si è negato a chi gli domandava un giudizio sulla perizia che ha
individuato la presenza di una traccia genetica compatibile col Dna di
Danilo Restivo. «Non ho opinioni da esprimere pubblicamente». Queste sono
state le sue parole. «Ovviamente ne ho, e di molto ferme, ma le tengo per
me. Se dicessi che la perizia del Ris non mi piace – ha continuato –
metterei in giro delle voci… Io sto zitto. Parlo col giudice. Non intendo
influire aneddoticamente sul processo». È tornato sui suoi passi solo per ribadire il senso delle dichiarazioni
rese in un’intervista al Quotidiano della Basilicata (vedi box in grigio a
centro pagina). «Ognuno di noi è il migliore per se stesso». E già che
c’era ha sfidato un cronista a fare un gesto di umiltà per primo,
lasciandolo di stucco lì sul posto.
In udienza era stata tutta un’altra storia. All’inizio Pascali aveva messo
in discussione la validità dei kit per l’amplificazione e il confronto
delle tracce di Dna degradati. Per un po’ è stato come assistere a una
specie di “controperizia” sulle analisi svolte dai Ris. Pascali ha portato
un’articolo di una nota rivista scientifica statunitense in cui vengono
elaborati i dati di alcune sperimentazioni, sia nel vecchio continente (in
particolare la Danimarca), che nel nuovo. Da questi si evincerebbe che gli
strumenti in discussione sarebbero attendibili soltanto al 25%, in pratica
una volta su quattro, mentre per il resto andrebbero persi degli “alleli”,
che sono le varianti di sequenza di un gene, utili per effettuare una
comparazione, e in concreto a scoprire il proprietario di una traccia
sparsa sulla scena di un delitto.
È come dire che andando a trecento all’ora su una strada di montagna si
rischia di uscire fuori strada, ma non si tratta del rischio di un falso
positivo, quanto piuttosto di aver fatto un test che tre volte su quattro
si rivela inutile. Questa scarsa resa avrebbe giustificato la scelta di non utilizzare i kit
di ultima generazione. Ed è il senso di quella che nella sua perizia
Pascali ha chiamato «economicità». Ma a questo punto è intervenuto il gip. In udienza per tutto il tempo sono stati presenti Filomena Iemma, la madre
di Elisa, Lucio e Gildo Claps, infortunato a una gamba che ha voluto
esserci a tutti i costi.
«Poteva chiedere scusa senza fare troppe storie», è stato l’unico commento
della madre in una pausa durante l’udienza.
Ma lo scontro di Pascali con i militari del Ris è andato avanti a lungo.
All’uscita del Tribunale il professore di Roma si è ricordato che quindici
anni prima uno di loro era andato «a imparare» proprio da lui. Giampietro
Lago è il comandante in carica del Ris di Parma e in effetti per un po’ ha
insegnato nella scuola diretta da Pascali. L’udienza è terminata soltanto alle 23 dopo più di 12 ore di discussione. «Aspettiamo di valutare gli esiti ma abbiamo avuto delle delusioni – ha
commentato a caldo Mario Marinelli, legale di Danilo Restivo – i dubbi che
avevamo non ci sono stati sciolti e altri se ne sono aggiunti. In più non è
stato permesso, come in altri tribunali si fa, il confronto diretto». Per Marinelli, poi, il perito Vincenzo Pascali «al di la di tutte le
critiche che ha ricevuto, si è difeso egregiamente da queste accuse
infondate».
«Pascali non ha ammesso errori – ha spiegato – ha detto che i tempi erano
stretti e che quindi ha dovuto operare in condizioni non certo facili, se
pensate che i Ris hanno avuto sei mesi e lui tre. Non è stato chiamato da
nessuno a fare critiche ai Ris, se ne sarebbe guardato bene, è uno
scienziato».
Il suo assistito, Restivo, sa che è stato trovato «non il suo dna, ma un
dna misto suo e di Elisa, molto probabilmente il loro, che è diverso. Anche
lui aspetta gli esiti». «Ora aspettiamo di acquisire i verbali e di vedere
con calma le mosse da fare». Ha concluso. Quanto a una previsione sulla
chiusura delle indagini ha rimandato ai pm che si stanno occupando del
caso.

Leo Amato

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