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REGGIO CALABRIA – «Chiunque sia stato l’ispiratore delle bombe di Reggio si può dire che ha già raggiunto i suoi obiettivi: ha creato confusione, divisioni interne alla magistratura, anche attraverso collaboratori apparsi anch’essi ambigui, come dimostrato dai memoriali di questi mesi». E’ l’idea che si è fatto Vincenzo Macrì, oggi Procuratore generale della Corte d’Appello delle Marche, ma che dal 1983 al 1985 ha presieduto il collegio per le misure di prevenzione a Reggio. Dal 1989 al 1991 è stato Gip e Gup, sempre del Tribunale di Reggio. Nel 1992 è stato sostituto procuratore generale della Corte d’Appello e nel gennaio 1993 ha assunto le funzioni di sostituto procuratore nazionale antimafia, e quindi di aggiunto, della Dna, ufficio nel quale ha svolto la sua attività sino all’agosto 2010. 

Macrì racconta come «dal 1993, anno in cui ho lasciato gli uffici giudiziari di Reggio, la mafia reggina è sicuramente cambiata moltissimo e oggi ha un aspetto decisamente nuovo, ma non diverso, rispetto al passato. Ha risolto molti dei suoi problemi interni, ha acquistato un peso molto maggiore nella vita politica e istituzionale della città, come è dimostrato dal fatto che è riuscita ad infiltrare uffici ed organi comunali reggini tanto da condurre allo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Si può dire che, uscita dalla lunga e sanguinosa guerra di mafia, ha sviluppato per intero le sue potenzialità, condizionando la vita cittadina, quella economica, politica e istituzionale molto più che per il passato, ed estendendo la propria influenza sulle regioni del Nord Italia, e in particolare su Milano. Non si tratta, si badi bene, di una occupazione meramente criminale, ma anche lì politica e imprenditoriale. Uno sviluppo impensabile le cui cause andrebbero meglio approfondite sia a livello giudiziario che politico». Per quanto concerne la società civile «dopo un timido risveglio suscitato dalla primavera politica reggina e dai numerosi e importanti processi di mafia, ai quali si devono aggiungere quelli, sia pure più modesti, della tangentopoli reggina, è ripiombata nella consueta passività, e, in molti settori, in uno stato di soggezione alla nuova fase del dominio mafioso, fatta non più o non solo di sequestri di persona e traffici di droga, ma di occupazione dell’economia cittadina, di influenza e condizionamento della vita sociale, in un progressivo degrado culturale e sociale della città». Del resto «Reggio insieme a Gioia Tauro continua ad essere il punto di riferimento della ‘ndrangheta calabrese. In questi due centri operano le cosche più evolute sotto il profilo organizzativo, con maggiori collegamenti con ceti imprenditoriali e politici, logge massoniche, ambienti istituzionali riservati e non solo. Si aggiunga l’enorme disponibilità di risorse economiche dovute sia ai traffici illeciti (droga, rifiuti, ecc.) che ai profitti per così dire legali, come investimenti finanziari, inserimento in nuovi settori come energie alternative, strutture turistiche, sanitarie, alberghiere, per non parlare della capacità di intercettazione delle risorse statali e comunitarie grazie ai collegamenti politici di cui si diceva».
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