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PALERMO – All’indomani dell’apertura del processo per la trattativa Stato-mafia, in cui è imputato ma anche testimone chiave, Massimo Ciancimino è stato arrestato su ordine del Gip di Bologna per associazione a delinquere ed evasione fiscale aggravate dal favoreggiamento di Cosa Nostra. Il figlio dell’ex sindaco di Palermo è stato condotto nel carcere palermitano di Pagliarelli. L’inchiesta della Dda di Bologna ha assorbito un procedimento della Procura di Ferrara, relativo a vari episodi di evasione fiscale che sarebbero stati commessi da Massimo Ciancimino nella sua attività di trader di acciai tra il 2007 e il 2009. Il provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso dalla magistratura bolognese è stato eseguito dalla Guardia di finanza. «Guardacaso, a distanza di quattro anni dai fatti, l’arresto viene ordinato all’indomani dell’apertura del processo Stato-mafia», ha commentato l’avvocato Francesca Russo, che assiste Massimo Ciancimino. Nelle carte dell’inchiesta compare anche il nome del commercialista calabrese Girolamo Strangi il quale, contrariamente a quanto inizialmente appreso, non risulta indagato. I due erano già finiti insieme all’attenzione degli inquirenti nel 2010 a Verona quando in conversazioni intercettate era emerso la negoziazione di un assegno da 100.000 per il quale Ciancimino avrebbe ricevuto un importo in contante decurtato di 25.000 euro. Si era sospettato allora che si trattasse di un’operazione di riciclaggio. Nei colloqui di con Strangi ascoltati dagli inquirenti, Ciancimino tra l’altro si vantava di essere diventato «un’icona dell’antimafia». 

In particolare, la procura di Bologna richiama anche l’indagine della Dda di Reggio Calabria che alla fine del 2010, intercettando Strangi, sospettato di legami con il clan Piromalli, ascoltò sue conversazioni con Massimo Ciancimino, che definiva l’inchiesta «una cazzata». I due si erano incontrati a Verona, dove Ciancimino si era recato da solo lasciando a Bologna, dove viveva la sua famiglia, la scorta che all’epoca lo seguiva. Oggetto del colloquio, la vendita di una partita di acciaio, e in questo contesto Ciancimino avrebbe consegnato a Strangi 100.000 euro per riceverne in cambio 70.000 con un giro di assegni che agli inquirenti era apparso sospetto tanto da fare ipotizzare un riciclaggio. Per quest’ultimo reato, peraltro, Massimo Ciancimino è stato condannato in appello a Palermo a 3 anni e 4 mesi in relazione al reimpiego del ‘tesoro’ di suo padre Vito, un patrimonio le cui tracce si disperdono attraverso molti canali che non sono stati ancora tutti ricostruiti dagli inquirenti. Ma oltre che di affari, a Verona Strangi e Ciancimino avevano parlato anche delle loro vicende giudiziarie. Il commercialista calabrese si era lamentato delle indagini cui era sottoposto dalla Dda reggina, mentre Ciancimino si era vantato dei suoi rapporti con i magistrati della Procura di Palermo che all’epoca raccoglievano sue rivelazioni nell’ambito di varie inchieste circa la trattativa Stato-mafia, il ‘papello’ con le richieste di Totò Riina, i contatti tra suo padre e ufficiali del Ros dei carabinieri, il suo filo diretto col boss Bernardo Provenzano. Rivelazioni non sempre riscontrate, tanto che Ciancimino, pochi mesi dopo il suo incontro con Strangi, fu indagato per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia, Gianni De Gennaro. Comunque, parlando della sua intervista nella trasmissione televisiva «Annozero», Ciancimino diceva a Strangi: «L’hai vista? Sono un’icona per loro. Se io dico, mi vogliono fottere con una minchiata, mi vogliono coinvolgere e robe varie, loro?.. in gioco io c’ho molto di più di un’inchiesta fiscale. E allora gli dicono a quelli: guardate che è il nostro teste principale d’accusa su quel che è successo negli ultimi vent’anni, non me lo screditate per una cazzata». Così parlava dell’inchiesta emiliana per evasione fiscale per la quale oggi è tornato un’altra volta in carcere, e in cui Girolamo Strangi non è indagato, contrariamente a quello si era appreso inizialmente.

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