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Un investigatore privato sulle tracce di una verità scomoda, sepolta sotto strati di polvere e coperture d’ogni genere. Un sistema diabolico di connivenze, che unisce magistrati corrotti, professionisti della società bene, imprenditori rampanti e una criminalità organizzata che è braccio armato e insieme stazione appaltante di grandi affari. E Ancora: festini a base di sesso e droghe, ragazze giovanissime e disinibite, un malavitoso creduto morto che si nasconde in una masseria di campagna e un altro condannato a trent’anni, che con le sue parole apre uno squarcio di luce nella nebbia del depistaggio. Gli ingredienti per un giallo all’ultimo respiro ci sono tutti, ancora di più perché sullo sfondo c’è la tragica fine di due giovani innamorati trovati senza vita, in una notte di febbraio del 1989, nella vasca da bagno della casa di lei. Una scena tragica che fa balzare subito alla mente la tragica storia dei fidanzatini di Policoro, Luca e Marirosa, e il mistero di quella morte tanto discussa per cui ancora oggi si continua a chiedere giustizia. Perché, in fondo, nessuna verità è scontata, anzi, “Niente è come sembra”. È questo il titolo del giallo del lucano Tommaso Carbone pubblicato di recente nella collana Rusconi Libri. Un romanzo che si legge tutto d’un fiato, grazie alla scrittura fluida dell’autore, ai dialoghi incalzanti, alle descrizioni d’impatto e senza fronzoli. C’è molto della storia di Luca e Marirosa nel libro dell’insegnante di Grassano: c’è la tenacia, il coraggio e la voglia di scoprire la verità della madre di lui, una donna che non ha mai creduto alla morte accidentale dei ragazzi e per questo decide di affidarsi allo squattrinato investigatore Max Ferretti per provare a riaprire il caso. C’è quel “segreto” a cui la giovane Miriam fa cenno in una lettera al fidanzato Francesco, poco prima della tragica morte di entrambi. Ci sono tutte quelle perizie contraddittorie sulle cause del decesso, la riesumazione delle salme a distanza di anni, quella ferita riscontrata sul corpo della ragazza che non convince e alimenta nuovi sospetti. Ma nel libro di Carbone si respira anche tanta Basilicata, che anima di quotidianità queste 232 pagine tinte di giallo: sin dalle prime righe, sulla scena compaiono gli operai della Fiat di Melfi, che scendono dai pullman per il loro turno pomeridiano. Ma anche il pecorino di Moliterno e quello di Filiano, i suggestivi paesaggi lucani, come quello murgico al confine con la Puglia, la cima bianca del Pollino, la vecchietta che vende a bordo strada i prodotti della terra, la babele linguistica di dialetti, le maioliche di Vietri. Ma a dare vita al racconto non è solo l’ambiguità di una storia “maledetta”, di cui non si riesce a ricomporre la trama: i protagonisti sono densi d’umanità, le loro storie piene dei problemi della vita di tutti i giorni. Uno su tutti: Ferretti, ex poliziotto espulso dal corpo per aver sparato ad un pericoloso – ma disarmato – serial killer, alle prese con un matrimonio ormai in crisi, difficoltà di comunicazione con il figlio adolescente e un’agenzia di investigazione che non naviga in buone acque. Eppure, mentre rischia la vita indagando sulla tragica fine di Miriam e Francesco, riassapora quella felicità che non provava da tempo. Una sensazione che si materializza durante la colazione a letto dopo una notte d’amore con Gaia, giovane e affascinante collega, entrata sulla scena in punta di piedi e piombata a capo fitto in una vicenda di cui diventerà, suo malgrado, protagonista. 

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