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POTENZA – Dalla loro avrebbero avuto lui, il pm Matteo Di Giorgio, la “legge” come garante della coalizione contro il sindaco professore. Se poi qualcuno si opponeva la “legge” sarebbe stata capace di mostrare anche un altro volto: così tra il figlio di un avversario e quello di un imprenditore amico il primo finiva in carcere per droga, e il secondo nemmeno indagato.

E’ quanto ha sostenuto ieri pomeriggio il pm potentino Laura Triassi chiedendo una condanna a 12 anni e mezzo per il collega di Taranto imputato per concussione, corruzione in atti giudiziari e diffamazione nel processo sullo “scisma” di Castellaneta.

In aula c’erano sia lui sia la parte offesa, l’ex amico ed ex senatore dei Ds Rocco Loreto, arrestato nel 2001 per calunnie nei confronti del magistrato, per cui è tuttora e giudizio, e già condannato in primo grado per le ingiurie pronunciate durante uno degli episodi al centro dell’udienza di ieri.

LE RICHIESTE

L’accusa ha chiesto anche la condanna a 3 anni e 10 mesi per corruzione in atti giudiziari di Giovanni Coccioli, commerciante un tempo vicino a Loreto, che avrebbe “venduto” la ritrattazione di una dichiarazione in cambio della remissione di una querela, della promessa di un posto di lavoro per la figlia, l’affidamento della gestione di un bar abusivo e di un contributo da parte del Comune. Stessa contestazione ma pena ferma a 3 anni e 4 mesi per l’ex sindaco di Castellaneta Italo D’Alessandro, l’avvocato factotum Agostino Pepe, che fungeva anche da intermediario col pm, e l’ex comandante della polizia municipale di Castellaneta Francesco Perrone. Poi c’è il favoreggiamento di Antonio Vitale per aver registrato di nascosto il colloquio con la vittima di un giro di usura di cui si era occupato Di Giorgio, che era stata appena sentita dai carabinieri di Potenza per capire se il magistrato avesse protetto un parente di sua moglie. Un nastro ritrovato a casa di Di Giorgio il giorno del suo arresto, a novembre del 2010, che ora potrebbe costargli una condanna a una anno 4 mesi. Infine, ci sono il nipote di Di Giorgio Alessandro Mongelli, Nicola Schiralli e  Francesco Saverio Granito, che per diffamazione rischiano 8 mesi.

«FUNZIONI STRUMENTALIZZATE»

«Di Giorgio – ha spiegato il pm Triassi rivolto al collegio presieduto da Aldo Gubitosi – partecipava direttamente e indirettamente alla vita dell’amministrazione comunale di Castellaneta, ed esercitava le funzioni di pubblico ministero che venivano utilizzate e a volte strumentalizzate per contrastare i suoi avversari politici».

“Longa manus” del pm tarantino oltre all’amministrazione comunale sarebbero stati alcuni esponenti della polizia giudiziaria più o meno inconsapevoli. Di fatto in aula è stata rievocata la testimonianza di almeno uno di loro per cui era «notorio» che Di Giorgio potesse disporre «trasferimenti» tra gli appartenenti alle forze dell’ordine a suo piacimento.

A rilanciare le indagini, rovesciando la prospettiva che aveva portato all’arresto di Loreto, è stata la denuncia di un altro ex amico di Loreto, Vito Pontassuglia, che ha raccontato di aver spinto alle dimissioni un ex consigliere nel 2001, paventandogli un possibile arresto del figlio e del fratello per droga. Dimissioni che avrebbero causato le elezioni anticipate spianando la strada agli amici del pm e a lui per l’incarico di assessore della giunta comunale. 

LE INDAGINI

«Era normale favorire imprenditori combattuti in precedenza per il loro comportamento illecito, divenuti nel frattempo amici degli amici». Ha riepilogato la Triassi.

In compenso per Di Giorgio ci sarebbero stati vari «vantaggi», da intendersi come «interessi di potere anche economicamente valutabili». Non ultimo quello alla sua candidatura come presidente della provincia.

Il magistrato avrebbe avuto un «ruodeterminante» nella vittoria alle amministrative del 2007 di D’Alessandro su Loreto, segnata dallo scontro a poche ore dall’apertura delle urne tra il secondo e alcuni sostenitori del primo che stavano effettuando un volantinaggio contro il loro avversario nonostante il silenzio elettorale.

In un bar di Castellaneta si sarebbero fronteggiati il senatore, la “legge”, con i figli e un nipote del pm. Fatto sta che nei giorni successivi Di Giorgio avrebbe denunciato l’aggressione verbale subita dal figlio, mentre più di qualcuno ha testimoniato che fosse stato il nipote il bersaglio di Loreto. Mentre qualcuno ha alterato la nota dei carabinieri sull’accaduto depositata in procura a Taranto, con l’aggiunta di un rigo alla fine in cui si diceva che non si era riscontrato alcun volantinaggio. Un rigo riconoscibile dall’interlinea diversa, del tutto assente nella copia archiviata dai militari di Castellaneta. Un giochetto da smanettoni di stampanti. 

Su tutto quanto accaduto quella sera per il pm Triassi si sarebbe scatenata «una frenetica sottoscrizione di documenti» fotocopia con la ricostruzione dei fatti da parte di “testimoni” di dubbia attendibilità. Uno ha addirittura ammesso in dibattimento di non essere stato davvero presente, ma di aver “solo” sottoscritto un foglio a casa di Di Giorgio perché gli aveva promesso un posto di lavoro.

IL COMPLOTTO

Quanto alla tesi di un complotto ai danni del pm tarantino, più volte adombrata dalla difesa, la Triassi è stata ferma: «Se ci sono irregolarita siamo disposti a perseguirle, ma altrimenti non ci si puo difendere così. Non è assoggettando gli investigatori chiedendo la sottoscrizione preventiva di alcune dichiarazioni come avvenuto con i carabinieri di Castellaneta che ci si può sottrarre a un’indagine, nemmeno se sostituti o procuratori».

L’udienza è stata aggiornata al 23 per l’inizio delle discussioni delle difese che continueranno il giorno mentre le repliche e la decisione sono previste per il 28. Prima di allora, anche se interpellati all’uscita dell’udeinza, gli avvocati hanno preferito non commentare.

l.amato@luedi.it

 

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