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«SE MI sento brava? Sì, direi di sì. Ma probabilmente in un altro paese sarei solo un’attrice normale». Anna Bonaiuto che è brava se lo è sentito dire tante volte in carriera. Tra David di Donatello, Nastri d’argento, Globi e Grolle d’oro e Coppa Volpi, sull’ideale mensola del caminetto di casa c’è rimasto pochissimo spazio. Ma non è solo una questione di premi. E’ stimata dai registi, dai produttori. Dal pubblico. Per la sua capacità di marcare i ruoli, come l’intensa donna Rosa Priore di Sabato, domenica e lunedì (premio Ubu 2003, e ci risiamo). O quella, tutta sua, di impreziosire i ruoli piccoli. Come la giudice del Caimano. O Livia Andreotti del Divo. Anna Bonaiuto stasera sarà al teatro auditorium dell’Unical per la lettura di un testo di Pasolini, “Porno-Teo-Kolossal”, a cura di Francesco Saponaro, per il focus su “Teatri uniti” all’interno della stagione “L’Italia delle Arti”. L’ingresso sarà gratuito.

Pasolini, forse l’ultimo Pasolini. Perchè?

«Perchè è una bella favola. Doveva essere un film che Pasolini avrebbe voluto girare con Eduardo De Filippo e Ninetto Davoli. Se li immagina lei due così che partono in giro per il mondo seguendo la stella cometa per arrivare a salutare un Messia che nasce?».

L’immagine è suggestiva.

«Molto. Eduardo stimava molto Pasolini. Quando morì lui, Eduardo che era già un signore di quasi ottant’anni, disse delle cose bellissime, di una modernità sconvolgente».

E di Pasolini, invece, cosa le colpisce di questo testo?

«Il pessimismo atroce. Il modo in cui racconta una società distrutta, la capacità di sentire l’avvicinarsi della catastrofe. La sua sofferenza, anche. Una sofferenza che nasce da un profondo amore per la vita. Pasolini era un profeta».

E il suo ricordo di Pasolini in vita qual è?

«Una volta lo vidi mangiare in una trattoria a Roma. Rimasi molto colpita da questa faccia che esprimeva insieme forza ed educazione. Io leggevo i suoi articoli, mi piacevano i suoi film, i miei miti da ragazza erano lui e la Magnani».

Cosa ne è rimasto?

«A dire la verità io lo sento citare spesso e talvolta anche a sproposito, soprattutto da quelli che sono ben felici che non ci sia più. Perchè lui era uno che bastonava. E non abbiamo più avuto nessun altro come lui».

Capitolo Teatri Uniti: se fosse un luogo fisico si potrebbe dire che sia una delle rare oasi felici del teatro italiano. Perchè?

«Per tanti motivi. Perchè Angelo Curti è un intellettuale. E il rapporto che crea con i suoi attori non è solo quello che c’è tra produttore e attore ma è quello che c’è tra un intellettuale e un attore. Perchè la compagnia nasce come teatro d’avanguardia ma che non rinuncia a riflettere, che guarda ai classici, che tiene ben presente che il teatro è una ricerca. Perchè vogliono osare e allo stesso tempo fare i grandi testi».

Lei dà l’impressione di avere una forte intesa artistica con Servillo. E’ così?

«E’ così. Ma con Toni siamo amici, ma amici nel vero senso della parola. Tra amici si discute, tra amici si litiga anche. E tutti e due riconosciamo che l’apice delle nostre carriere lo abbiamo toccato insieme: con “Sabato, domenica e lunedì” e con “Le false confidenze” di Marivaux».

Ha dimenticato Il Divo…

«Ah, beh, certo, anche quello. Lì è stato bravo Sorrentino. Un regista si accorge delle intese che esistono sul palcoscenico. E dal palcoscenico ci ha portati pari pari sul divano di casa Andreotti».

Qual è la diversità di Toni Servillo?

«La sua serietà assoluta. Il suo rigore. E’ uno che prima di scegliere un testo ci pensa anche un anno. Lo studia, lo analizza, lo seziona. E poi è uno che tiene la barra dritta sul lavoro, non sul successo».

Perchè Anna Bonaiuto in un altro paese sarebbe solo un’attrice normale?

«Perchè da altre parti è più forte la tradizione dell’attore. Dell’attore bravo, dell’attore che vale. Perchè passati i 40 anni in Italia un’attrice ha serie difficoltà a trovare lavoro, invece in America la Streep fa la Thatcher o Mamma mia. Perchè in Italia purtroppo la gente si accontenta di quello che trova, stiamo diventando meno esigenti».

Colpa della tv?

«Anche».

Dei Governi?

«Anche. Le faccio l’esempio del teatro Valle a Roma, un teatro stupendo, del Settecento. E’ stato occupato due anni, è stato sgomberato e non si trovano i soldi per restaurarlo. Un teatro come quello? Ma come è possibile? Il potere non ha l’esigenza del teatro, della cultura e quindi tutto diventa conseguenziale».

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