X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

COSENZA – E’ stata trasferita stamattina nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Cosenza Daniela Falcone, 44 anni, accusata di aver ucciso il figlio Carmine. Per i medici le condizioni psicologiche in cui si trova non sono compatibili con il regime carcerario come invece ha disposto il gip Ferrucci nell’udienza di convalida del fermo avvenuta lo scorso sabato. La mamma del piccolo Carmine, dal giorno che ha colpito più volte (sette) con un coltello il figlio poi morto per dissaguamento (LEGGI), vive completamente dissociata. E’ assente, non risponde agli stimoli e alle domande. Non capisce nemmeno dove si trova. 

Per i medici non è possibile che possa essere portata in carcere nel momento che sarà dimessa dal reparto di chirurgia dove si trova ricoverata da lunedi 3 marzo perché ha tentato il suicidio. E Daniela secondo i professionisti dell’Annunziata voleva veramente togliersi la vita insieme al figlio, non è stato un gesto dimostrativo ma una volontà a perseguire un obiettivo ben preciso: morire insieme al figlio, spazzare via la sua famiglia dopo la scoperta del tradimento del marito e soprattutto la scoperta che l’uomo aspettava un figlio da un’altra donna. 

In ospedale è arrivata completamente dissociata, dicono i medici che hanno incontrato anche il gip che si è recato in ospedale per constatare di persona le condizioni della donna. I medici sottolineano il fatto che la volontà di uccidersi dalle loro valutazioni è profonda e nel momento in cui uscirà da questo stato potrebbe provarci di nuovo. Per questo è necessario che la donna venga tenuta costantemente sotto controllo. I medici che seguono il caso ritengono, infatti, che la reclusione in carcere, in questo caso nel carcere di Castrovillari, non sia adeguata alle condizioni in cui si trova la donna. Dal profilo psicologico messo a punto accanto alla condizione dissociata emerge che nel momento in cui verrà meno questa condizione psicologica la donna cercherà ancora di togliersi la vita. Perchè se i forestali quella mattina non avessero trovato la macchina con Daniela e il figlio nella zona  Arciprete a Paola, lei sarebbe rimasta lì a lasciarsi morire perché in realtà “lei non c’era più” si era appunto dissociata da quella situazione, da quel dramma enorme che aveva creato. 

Anche Franco Corbelli, del Movimento Diritti Civili, ritiene che la condizione di Daniela non sia compatibile con il carcere. Per questo rivolge un accorato appello ai magistrati e giudici competenti di Cosenza chiedendo che «le due mamme (si riferisce anche alla tragedia di Lecco) che hanno ucciso il figlioletto e le tre sorelline vengano portate anziché in carcere in strutture protette, per aiutarle ad affrontare il momento più doloroso e drammatico della loro vita che ha segnato per sempre la loro esistenza». «Chiedo innanzitutto scusa ai familiari dei bambini uccisi per questo mio intervento meramente umanitario, dettato esclusivamente dal dolore e dalla pietà che ognuno di noi prova davanti a tragedie così immani e orribili».

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE