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POTENZA – Di nomi al telefono non ne facevano mai. Così il boss policorese Filippo Solimando era “Napoleone”, “Masan”, “Carmela”. Nickname che duravano quanto i telefoni che utilizzava per contattare soci e rifornitori di coca ed eroina: tra Albania, Olanda e Sud America. E Gerardo Schettino, la “primula rossa” di Scanzano: “zic”, “zi” o semplicemente “z”. Tanto bastava per far capire chi fosse. Un cliente pregiato del clan degli zingari di Cassano. L’uomo in più per controllare i movimenti delle forze dell’ordine sulla 106, e attivare i canali tarantini se un corriere veniva scoperto e serviva roba per tenere il mercato. Fino alla partenza di un nuovo carico.
C’era un “citofono” umano che triangolava le comunicazioni tra l’ex carabiniere originario di Viggianello, e il figlio di Francesco “dentuzzo” Abbruzzese, Luigi, che poi teneva costantemente aggiornato Solimando sulla situazione. Nessun contatto telefonico diretto tra Schettino e Abbruzzese, nè tra Schettino e Filippo Solimando. Tantomeno tra Schettino e il fratello maggiore di Filippo, Giacomo Solimando, nonostante l’uno vivesse a Scanzano e l’altro a Policoro. A pochi chilometri di distanza.
Mai un contatto diretto anche se secondo gli inquirenti dell’antimafia di Catanzaro avrebbero fatto parte della stessa organizzazione criminale. Un escamotage per restare nell’ombra come quello di incontrarsi di persona per discutere delle questioni più importanti, cambiare in maniera frenetica i telefonini e il mezzo di comunicazione utilizzato. Sms tra Schettino e il suo “citofono”. Chat create ad hoc, molto più difficili da intercettare, tra questi e Abbruzzese, tra Abbruzzese e Solimando, e con i suoi rifornitori d’oltreconfine. Per provare a minimizzare “i danni” nel caso che le forze dell’ordine fossero riuscite a infiltrarsi nel sistema. Oltre a piccoli espedienti pratici concordati, come iniziare o finire sempre i propri messaggi con due o tre lettere più o meno senza senso. Simulando un errore di battitura che in realtà doveva garantire a chi leggeva di parlare con la persona giusta. Né un finanziere sotto mentite spoglie. Né un hacker riuscito a intrufolarsi nella conversazione. Né altri che avevano messo le mani su quello smartphone.
Non c’è nulla di scontato quando si tratta di chili e chili di coca ed eroina, per rifornire mercati che in certi ambienti fanno gola. I viaggi vengono rinviati fino a quando la macchina non è pronta e la droga nascosta negli interstizi più impensabili della carrozzeria, richiusa e riverniciata.
Quando a marzo un corriere arriva dall’Albania, diretto prima a Scanzano Jonico e poi a Cassano, ma viene fermato a Pisticci dalle Fiamme gialle di Policoro, che gli scoprono 12 chili di eroina nascosta nel sottofondo dell’auto, la giostra va avanti. La richiesta dalle piazze non si ferma e fintanto che c’è quella e non si sentono spari o rumore di chiavistelli bisogna fare presto per evitare di essere soppiantati.
I contatti diventano frenetici e in 4 giorni lo stesso fornitore albanese è in grado di consegnarne altri 2 chili e mezzo alla stazione di Salerno. Un corriere arriva in aereo dall’Albania a Genova, dove un uomo di fiducia gli affida il pacco e lo accompagna a prendere il treno. Il servizio costa 4.500 euro, da pagare in contanti a destinazione, non appena l’incaricato degli zingari avrà riconosciuto il postino con qualche parola in codice.
Nel frattempo, poche ore dopo il sequestro a Pisticci, viene attivato anche Schettino, che si precipita a Taranto e ricontatta il “citofono”, Antonio Pavone, un 29enne di Cassano allo Jonio: «perché chiedesse a Luigi (Abbruzzese, ndr) se poteva acquistare stupefacente da un fornitore diverso daquello abituale che pretendeva un prezzo maggiore».
Così scrivono i pm che hanno disposto il fermo di Abbruzzese e Pavone (ad agosto Schettino si è presentato in carcere a Caserta per scontare una pena definitiva di un anno e mezzo).
L’ex carabiniere avrebbe voluto il figlio di “dentuzzo” con sé nella città dei due mari per chiudere la trattativa per i 3 chili di eroina richiesti dai calabresi. Ma soltanto il “citofono” l’avrebbe raggiunto a Scanzano, si davano per definire i dettagli dell’operazione. Inclusi i soldi che i tarantini pretendevano subito.
Poi scompare dai radar, diventando invisibile a tutti. I migliori investigatori delle Fiamme gialle riescondo intercettare il secondo corriere albanese a Salerno, ma perdono le tracce di Schettino, che sa muoversi nell’ombra come pochi. Forse proprio per il suo passato da carabiniere.
«Dalle chat intercorse fra Luigi (Abbruzzese, ndr) e Pavone – scrivono i pm della Dda di Catanzaro si evince che Schettino era riuscito a rifornirsi di stupefacente. Le conversazioni peraltro, erano molto frammentarie perché Luigi, temendo di essere controllato dalle forze dell’ordine, intimava a Pavone di raggiungere Schettino per parlare a voce: “Vai da zic e fatti dire tutto a voce dgli che il tel non ce lo e per butare anche il suo”.
Il nuovo canale attivato funziona alla grande e 6 giorni dopo sarebbe arrivata una nuova partita. Quell’eroina costa un po’ di più ma è di buona qualità e i corrieri sembrano finiti.
«Pavone aveva preso da Liu (il nome in codice del fornitore, ndr) 5mila euro». Annotano gli inquirenti. «Lo stupefacente era stato ritirato da Zic, cioè da Schettino e occorreva pagarlo». 27mila euro. A 13.500 euro al chilo. Troppo per lucrarci con i cosentini che non erano disposti a pagare più di «17/18mila euro». Ma abbastanza per la piazza di Cassano, dove il margine per gli zingari era migliore, grazie alla loro rete di spaccio diretta. Senza ulteriori intermediazioni.

l.amato@luedi.it

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