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PAOLA – Coperture istituzionali ed interrogatori al via. La procura della Repubblica di Paola entra nel vivo della nuova inchiesta sul delitto di Roberta Lanzino e programma una serie di interrogatori. Gli inviti a presentarsi in procura saranno presto notificati agli interessati, che possono essere ex sospettati o persone informate sui fatti, anche già ascoltate in passato. Nella sostanza, i pm riprenderanno ad indagare come se il grave crimine fosse avvenuto ieri. E nel nuovo fascicolo entra prepotentemente un passo della recente sentenza, con cui il tribunale di Cosenza ha assolto i due imputati dell’omicidio. «Ora, che tale depistaggio fosse finalizzato ad allontanare i sospetti da sé – scrivono i giudici Antonia Gallo e Vincenzo Lo Feudo – e che da esso possano trarsi elementi a carico dell’imputato Francesco Sansone è solo un’ipotesi investigativa che non ha trovato il necessario sviluppo».

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Secondo i magistrati giudicanti, invece, è più probabile «che i Sansone abbiano deviato il corso delle indagini per favorire, dietro sollecitazioni di soggetti rimasti ignoti, ma, forse – ecco la frase forte della sentenza – non estranei all’ambiente delle istituzioni, l’autore o gli autori del delitto».

ALLA RICERCA DI IGNOTO 1 – La riapertura delle indagini sull’assassinio della giovane cosentina, avvenuto nel lontano 1988, è dovuta, si ricorda, alla clamorosa scoperta di tracce di dna dell’omicida, definito “Ignoto 1”. Scoperta avvenuta durante l’ultimo dibattimento, ben 27 anni dopo la brutale violenza. Elemento che ha scagionato i due imputati, Francesco Sansone e Luigi Carbone, nel processo bis sul caso, conclusosi qualche mese fa: il profilo genetico di entrambi gli accusati non combaciava con il genoma individuato dai Ris di Messina in un pugno di terriccio, che era stato prelevato nell’immediatezza del fatto di sangue, dal punto in cui, nell’impervia zona montana di Falconara Albanese, fu rinvenuto il cadavere della diciannovenne violentata e uccisa, da uno o più individui. Negli anni precedenti le analisi tecniche, effettuate con strumenti meno sofisticati di quelli attuali, non avevano consentito di isolare il Dna, nonostante fossero a disposizione dei periti provette con sperma prelevato dal corpo della vittima. I primi ad essere processati per il delitto Lanzino e assolti in via definitiva, furono i fratelli Frangella, che come Francesco Sansone abitavano nell’area dove è stato trovato il corpo di Roberta. Ma la ricostruzione risulta estremamente complessa. Successivamente è stato istruito un secondo processo, a carico dei suddetti due indiziati, nel corso del quale, come accennato, c’è stato il colpo di scena del Dna, che ha indotto i pm di Paola, Maria Camodeca e Sonia Nuzzo a ritirare le accuse rivolte a Sansone e Carbone, e ad aprire una terza inchiesta, sulla base dell’impronta genetica isolata dal Ris, la cosiddetta “prova regina”: la nuova indagine punta ad dare un nome ad “Ignoto 1” procedendo – come nel caso dell’assassinio di Yara Gambirasio – a tentativi con l’auspicio che prima a poi spunti la comparazione giusta.

I DEPISTAGGI – «Sollecitazioni di soggetti rimasti ignoti, ma forse non estranei all’ambiente delle istituzioni» dicono i giudici potrebbero essere state rivolte a Francesco Sansone e al padre Alfredo per depistare le indagini subito dopo il delitto. Ma chi dovevano coprire e per quale motivo? E quali potrebbero essere questi soggetti non estranei alle istituzioni interessati al depistaggio? Si ha l’impressione che i giudici introducendo implicitamente questi interrogativi, abbiano voluto dare una direzione alla nuova indagine, aperta dal procuratore di Paola, Bruno Giordano, ancor prima del loro verdetto. I termini utilizzati nelle motivazioni della sentenza non potevano passare inosservati negli uffici inquirenti e saranno tenuti in debita considerazione nel prosieguo dell’attività investigativa.

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