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BRUTTA storia la sanità al sud, fagocitata non tanto dalle idee su una presunta qualità inesistente, ma da buchi milionari che stanno rapidamente minando le casse di Campania, Puglia e Calabria. Le operazioni di salvataggio sono discontinue: in Calabria il governatore Scopelliti (Pdl) ha messo in atto un piano di rientro, in Campania vale più o meno la stessa cosa. In mezzo un’utenza enorme, che fugge sempre di più al nord per prestazioni specialistiche ma si affida ben volentieri anche alle regioni limitrofe. Di fatto i buchi miliardari delle regioni del sud stanno minando l’offerta, complice anche la spending review e la conseguente progressiva riduzione dei posti letto a fronte di un sensibile aumento delle liste d’attesa. In mezzo a questo marasma dai conti in rosso c’è la Basilicata, regione che sembra vivere come un’isola felice quantomeno in ambito sanitario. 
Prima l’annuncio di Martorano su disavanzo ridotto del 69% passando da 48 a 15 milioni di euro, poi la stoccata di Mattia, del Pdl, che fa notare che i soldi guadagnati arrivano anche dalla “Tassa sulla salute” che ha colpito le fasce più deboli. Alla fine si c’è messa anche la Regione Campania che ha annunciato come il ricorso alle prestazioni sanitarie dei cittadini campani fuori regione devono essere sottoposte ad autorizzazione preventiva. La Regione Basilicata ha presentato ricorso nel nome della legge, appellandosi poi alla libertà di scelta dei cittadini, pronti a fuggire da quelle regioni indebolite dai tagli messi all’opera dai vari commissari.
Perché la mobilità passiva, ovvero lo spostamento dei pazienti di una determinata regione che decidono di farsi curare fuori, costa tantissimo alle Regioni, in Campania quasi 5mila euro al giorno per ogni paziente. Di contro a guadagnarci è la regione ospitante e stando ai dati diffusi due mesi fa il San Carlo con la mobilità attiva, ovvero i pazienti di altre regioni che si curano in Basilicata, ci guadagna tantissimo. Così tanto da essere una delle voci del bilancio sanitario più ghiotte in assoluto. 
Dalla Campania, la Puglia, la Calabria arrivano in tanti, sfruttando soprattutto le posizioni di confine, con costi notevoli per le regioni di appartenenza e buoni guadagni per la Basilicata. Di fatto però quella che si sta innescando da queste parti è una guerra tra Regioni, una lotta a tenersi stretto l’ultimo paziente per evitare di alimentare i rispettivi disavanzi. Il Sole 24 Ore lo scorso anno ha pubblicato dati inoppugnabili, in Basilicata 1 paziente su 4 decide di farsi curare fuori, questa perdita può essere soppiantata soltanto dalla mobilità attiva, vista la mancanza di commissariamento e posti letto ancora a disposizione. 
L’atteggiamento è controproducente per le confinanti, anche se la scelta della Campania sembra più un gesto dettato dalla disperazione che una vera e propria manovra politica utile a riabilitare il nome della sanità campana. Eppure la lotta tra regioni è palese e al centro del fronte c’è proprio la Basilicata, vista come una terra promessa pronta ad assorbire pazienti. È una guerra tra poveri, in barba alla collaborazione che dovrebbe instaurarsi in nome del diritto e l’accesso alle cure. Ma nel disastro pochi si sono chiesti quali sono le reali motivazioni che spingono un paziente ad uscire dai confini regionali. Non è tanto la qualità delle strutture ma effettivamente chi le tiene in piedi. Il medico di fiducia, il nome importante, lo studioso, l’esperto, il luminare sono la migliore pubblicità per un ospedale o una clinica. Basta vedere per esempio la migrazione dei lucani in ambito cardiologico per farsi un’idea. Ma come primo punto in assoluto ci sarebbero le liste d’attesa: infinite e lunghissime che spingono sempre di più a prestazioni in clinica privata. Il rischio che corre in questo momento la Lucania è denso di inquietudini. 
Il “veto” della Campania potrebbe essere replicato dalle altre regioni, nonostante il ricorso presentato, e causerebbe una spirale economicamente sfavorevole che potrebbe di fatto far aumentare il disavanzo nell’anno in corso, salvo ulteriori provvedimenti. 
Altrettanto chiaro è il fatto che la Basilicata ha saputo fare tesoro degli investimenti sanitari tanto da non dover chiedere più di tanto per stringere il disavanzo, non altrettanto possono dire Campania e Calabria, dove lo stato delle strutture sanitarie è già ampiamente compromesso. Quale sarebbe la soluzione? Non si può certo obbligare i pazienti ad una autorizzazione per prestazioni fuori regione, operazione tanto simile ad una parodia orwelliana quanto controproducente anche dal punto di vista regionale. Se poi si aggiunge che il dato lampante è che i meridionali tendono sempre di più a scegliere il nord (esclusi Molise e Basilicata) il colpo è fatto. Non resta quindi che dichiarare guerra alla Basilicata, tentando la difesa esemplare di una sanità inesistente.

 

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