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POTENZA – Dunque è ufficiale: la discussione sul piano delle privatizzazioni delle grandi aziende italiane è in corso, ed in mezzo c’è anche l’Eni. La società energetica italiana servirà per battere cassa e recuperare 2 miliardi di euro. Nel piano di privatizzazioni, che riguarda non solo Eni ma anche Sace e Grandi stazioni (partecipate al 59,99% da Ferrovie dello Stato e le quote di maggioranza di Enav, Stm, Fincantieri e Cdp Reti. Un totale di 10, 12 miliardi da recuperare. La metà, stando alle dichiarazione di Letta, la metà andranno a ridurre il debito del 2014 e il resto per ricapitalizzare la Cassa depositi e prestiti. In pratica il governo vuole dare un segnale all’Unione Europea per il ridimensionamento del debito. In particolare la cessione del pacchetto Eni riguarda soltanto un 3%, questa piccola percentuale farà sì che lo Stato mantenga il 30% del controllo sulla società e quindi rimanere nella soglia di Opa, di offerta pubblica di acquisto. In patica non si perderà il controllo della società ma se ne cederà un pezzetto. Molto più grosso il piano di dismissioni per le altre società: 60% di Sace e Grandi Stazioni. Per Enav e Fincantieri il 40%, per quanto riguarda le reti in mano a Cdp ci si fermerà attorno al 50%. ma questo è soltanto un primo pacchetto che rientra nel piano di riduzione del debito pubblico, più in là, stando a quanto ha dichiarato il ministro dell’Economia Saccomanni ne sono previste altre, forse Poste e Ferrovie.

La società del cane a sei zampe dunque passerà per una ulteriore percentuale ai privati. Con il riacquisto dei titoli azionari effettuato dalla società petrolifera la partecipazione del Tesoro crescerebbe del 33%, qui tre punti quindi saranno dismessi. Il piano, che dovrebbe far risparmiare 2 miliardi subito, potrebbe avere delle ripercussioni a lungo termine, con un effettivo aumento della spesa. D’altronde sono settimane che il piano di eni risulta chiaro: qualche giorno fa infatti è stato firmato l’accordo per la cessione del 60% ad un costo totale di 2,94 miliardi, dellequote della società Arctic Russia a Yamal Development, società paritetica tra Novatek e GazpromNeft.

Artic Russia detiene il 49% di Severenergia, titolare di quattro licenze di esplorazione e produzione di idrocarburi nella regione dello Yamal Nenets. A seguito della conclusione dell’operazione, Eni non deterrà più alcuna partecipazione in Severenergia. È lo stesso ministero del tesoro a spiegare nei dettagli la cessione via “buyback”, ovvero il riacquisto di azioni proprie. Eni dovrà ricomprare azioni proprie sul mercato a ridosso del massimo consentito del 10% per consentire al Tesoro di cedere il 3%. la spesa per il riacquisto sarebbe di circa 6 miliardi. il gioco è complesso: una volta comprate Eni dovrà annullare le azioni. A quel punto Tesoro e Cdp si troveranno con quote gonfiate in termini percentuali dando il via libera al Tesoro di cedere sul mercato una parte della sua quota. Oggi il ministero dell’Economia possiede direttamente il 4,34% di Eni. La Cassa depositi e prestiti, partecipata all’80% dal Tesoro e al 18% dalle Fondazioni di origine bancaria, ha il 25,76%. La quota pubblica ammonta quindi al 30,1%. Ed è proprio questa a finire sul mercato. Il cane a sei zampe ha già lo 0,31% di azioni proprie. Per soddisfare il Tesoro deve comprare sul mercato un altro 8,85% del capitale (323 milioni di azioni circa) per poi annullare l’intero pacchetto del 9,2%. A quel punto la quota diretta del Tesoro salirebbe al 4,77%, la quota della Cdp al 28,37%, per un totale in mano pubblica pari al 33,14%.

Il Tesoro potrebbe quindi vendere l’annunciato 3% di Eni restando comunque con una quota diretta dell’1,77%. Considerando la quota della Cdp, alla fine lo Stato avrebbe comunque il 30,1% della società.

Praticamente più che una privatizzazione vera e propria si tratta di una “falsa” cessione delle quote, perché sostanzialmente l’assetto societario rimarrà invariato con tanto di partecipazioni. Ma questo 3% di quote dove andrà a finire? La Basilicata guarda con attenzione a questa vicenda soprattutto per la questione gas e petrolio. È possibile che una regione come questa possa farsi carico dell’acquisto delle azioni ed entrare, seppur con un misero 3% all’interno dei processi decisionali della multinazionale dell’energia? Posizione altamente improbabile visto la spesa notevole.

v.panettieri@luedi.it


LA PROPOSTA DI PRINZI (IDV) E MASSARO (CSAIL): PRENDIAMO UNA QUOTA DELLE AZIONI DELLA SOCIETA’

«L’operazione di dismissioni di quote azionarie dello Stato dall’Eni non è nuova. Già a settembre 2012 il governo Monti tentò la stessa strada: la Cassa depositi e prestiti (Ministero Economia) per finanziare l’operazione Snam dopo aver ceduto sul mercato azionario, tra il 7 agosto e il 13 settembre 2012, 61.744.750 azioni Eni, pari all’1,7% del capitale della società, annunciò che avrebbe ceduto la quota rimanente dell’1,6% di Eni (58.255.250 azioni)».

Lo ricorda il consigliere provinciale di Potenza Vittorio Prinzi, per il quale «una quota, sia pure simbolica», deve essere ceduta «gratuitamente dal Ministero all’Economia attraverso la Cdp, che comunque assicuri la partecipazione della Regione all’assemblea dei soci. Ciò consentirebbe – secondo Prinzi – di esercitare un ruolo di informazione diretta e di verifica dell’attività estrattiva Eni in Basilicata e rafforzerebbe realmente il controllo pubblico sull’estrazione e sulla produzione di greggio, materia questa che si presta a non poche polemiche in assenza di controllo bipartisan. Sarebbe dunque un’occasione per rafforzare tra le comunità locali che vivono in Val d’Agri quel sentimento di “beneficio” che, come è noto, è ancora lontano da trasformarsi in atti concreti. Non capisco perché fondi sovrani del Kuwait, Abu Dhabi e del Qatar possano acquistare azioni della società petrolifera italiana sino a costituire un pacchetto di tutto rispetto, come avvenuto lo scorso anno (dicono gli analisti della finanza pari a circa l’1% del capitale che, ai prezzi attuali di mercato, vale attorno ai 600 milioni di euro) e non ci possa esistere un pacchetto azionario tutto lucano intestato in proprietà al Governatore e ad alcuni sindaci facente funzioni».

Sulla stessa linea Filippo Massaro del Csail. «Le dismissioni di quote statali dell’Eni che il Governo Letta si appresta a decidere rilanciano la proposta del Csail di assegnarle alla Regione e ai Comuni della Val d’Agri dove si trova il giacimento petrolifero Eni. Non vorremmo che il “vuoto”, perché di questo si tratta tenuto conto che la Giunta in carica può fare solo ordinaria amministrazione e che l’ex Governatore non ha alcuna autorevolezza (ammesso che l’abbia avuta in passato) nei confronti di Governo ed Eni, faciliti l’ennesima operazione di profitto dello Stato con il petrolio lucano».

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