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POTENZA – Condanne confermate per i melfitani Angelo Di Muro, Nicola Lovisco e Michele Morelli. Trent’anni a testa. Più i 14 per il pentito Alessandro D’Amato e un ergastolo a suo fratello Dario, che era stato assolto in primo grado.
Lo ha deciso ieri pomeriggio la Corte d’appello di Potenza, presieduta da Vincenzo Autera, nel processo su 3 degli omicidi della faida tra i clan del Vulture: quello di Rocco Delli Gatti, nel 2002; quello di Domenico Petrilli, nel 2003; e quello di Marco Ugo Cassotta nel 2007.
Unico assolto, confermando la decisione dei giudici di primo grado, è stato l’imprenditore Emilio Caprarella, l’imprenditore al centro dell’ultima inchiesta su abusi di potere e affidamenti sospetti nel comune federiciano, che resta comunque a processo per associazione mafiosa.
La sentenza è arrivata dopo una camera di consiglio durata circa 4 ore, e conferma le accuse lanciate dal pentito Alessandro D’Amato. Accuse rafforzate dalle dichiarazioni di Michele Morelli, già condannato a 30 anni per l’omicidio Petrilli, che durante la scorsa udienza aveva ammesso di aver ucciso lui e Delli Gatti assieme a D’Amato. Salvo ridurre il tutto a un regolamento di conti per uno scontro col padre.
D’Amato aveva accusato il fratello Dario, più giovane di 12 anni, di aver fatto parte del vecchio “gruppo di fuoco” del clan di Cassotta, assieme a Morelli. E in particolare di aver fatto da autista durante l’agguato in cui è morto Petrilli, colpito da tre colpi di lupara a bordo di una Golf ancora parcheggiata sotto casa sua, a Rapolla, mentre si avviava per andare al lavoro. Mentre avrebbe effettuato dei sopralluoghi per l’omicidio di Rocco Delli Gatti, a Melfi, con una raffica di Kalashnikov sul suo Apecar.
«L’omicidio l’ho fatto io – questa il racconto in aula dell’esecuzione di Petrilli – con Michele Morelli e mio fratello Dario D’Amato. Io e Morelli siamo stati gli esecutori. Avevo un mitra, e Morelli un fucile a pompa. Il mio si é inceppato così ha sparato lui. Dario faceva da autista alla guida di un Fiorino».
Incalzato dalle domande del pm D’Amato aveva svelato anche i dettagli della preparazione dell’agguato. «Siamo arrivati verso le 4 e mezza di mattina e ci siamo posizionati. Quando lui è uscito di casa ha acceso la macchina ma non é salito subito a bordo. Prima si é fumato una sigaretta. Allora siamo scesi e gli sono andato incontro, ma quando siamo arrivati il mitra non é partito, si é inceppato. A quel punto é arrivato Michele Morelli. Quando mi ha visto Petrilli ha messo le mani davanti al vetro per proteggersi. La prima fucilata lo ha sbalzato sul lato del passeggero. Si é adagiato come per prendere una cosa nel vano del cruscotto».
Quanto alla morte di Marco Ugo Cassotta, nel 2007, D’Amato ha ammesso di aver attirato in un casolare il suo vecchio “compare”, che anni prima aveva fatto da padrino al battesimo della figlia. La scusa sarebbe stata quella di fargli vedere delle armi che aveva recuperato al nord, e sarebbero potute servire per chiudere i conti con i loro storici nemici del clan dei fratelli Di Muro. Poi gli avrebbe sparato in pieno petto e sarebbe tornato in paese per dare la notizia ai suoi nuovi amici.
Nel casolare tra i resti del fuoco acceso sul cadavere erano rimaste poche ossa sparse e il moncone dell’avambraccio sinistro, con l’orologio al polso che segnava le 19:40 mentre il torso era stato trascinato nei rovi appena lì fuori. Quello sfregio sarebbe stato la firma dell’omicidio da parte dei fratelli Di Muro, che – stando a quanto D’Amato ha rivelato di aver sentito proprio da uno di loro – già nel 1991 avrebbero ucciso un altro Cassotta, Ofelio Antonio, ritrovato semicarbonizzato nella discarica di Rapolla. Stesso trattamento riservato nel giro solo di qualche settimana anche ai fratelli Rocco e Donato Maiellare.
Secondo gli inquirenti Rocco Delli Gatti, Domenico Petrilli e i fratelli Di Muro sarebbero stati a capo di uno storico sodalizio criminale egemone sui traffici dell’area nord della Regione, fino all’ascesa del giovane Marco Ugo Cassotta, fratello minore di Ofelio Antonio, ritrovato semi-carbonizzato ai bordi della discarica di Rapolla nell’estate del 1991, e intenzionato a vendicare la sua morte.
E dopo di loro stata la volta proprio dei fratelli Di Muro, ma i vari tentativi di portare a segno un agguato contro di loro sarebbero falliti, anche perchè il più grande di loro, Angelo, è rimasto in carcere per scontare una vecchia condanna fino ai primi del 2007, mentre il più giovane, Vincenzo, si era già trasferito in provincia di Forlì.
D’Amato avrebbe abbandonato il suo vecchio “compare” Cassotta perchè gli aveva negato un prestito di poche migliaia di euro, proprio a lui che per quella “famiglia” ha ammesso di aver ucciso senza fiatare anche i coniugi Gianfredi, a Potenza il 29 aprile del 1997.

l.amato@luedi.it

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