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Il caso Fenice – i risultati dell’inchiesta svolta dalla commissione consiliare di viale Verrastro – è tornato al centro del dibattito in consiglio regionale. Una delle vicende più controverse e complesse legate alla tutela ambientale e alla mai risolta emergenza rifiuti in regione è oggetto della discussione di aula. 

Nelle fasi di monitoraggio «Fenice e l’Arpab hanno rappresentato le attività da loro svolte in maniera incompleta e inidonea a esporre in modo chiaro e puntuale lo stato di inquinamento delle acque di falda: hanno inoltre rappresentato in maniera limitata le sostanze rilevate le cui certificazioni sono state redatte prive di giudizio e con metodi indefiniti».  È questo uno dei passaggi della sintesi della relazione conclusiva della commissione d’inchiesta sull’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti di Melfi, illustrata dal presidente della commissione, Nicola Pagliuca (Pdl). 

Il passaggio fa riferimento all’analisi dei monitoraggi effettuati, negli anni, sull’attività della Fenice, sia per le prove dell’impianto che per il funzionamento effettivo. Secondo la commissione, inoltre, «in più periodi, nonostante dai dati si rilevano superamenti dei livelli massimi di accettabilità, sia Fenice sia l’Arpab omettevano di adempiere alle comunicazioni di legge agli enti competenti», e «già durante le prove a caldo si erano verificati alcuni superamenti come nel caso del piombo in più pozzi, con picchi che si sono manifestati a settembre del 2007».   

Dalle audizioni e dagli atti consegnati ai commissari, poi, «appare singolare – è scritto nel testo – che nonostante la documentazione fosse a disposizione di tutti gli enti di controllo e vigilanza, nessuno abbia criticamente a analiticamente provveduto a valutarne i dati inviati», definendo in particolare «paradossale l’indifferenza, relativa al secondo semestre 2006, dove quasi per tutti i pozzi la sommatoria dei composti organoalogenati addirittura è fino a quattro volte superiore al limite di legge». 

Dall’analisi comparata dei dati a disposizione, concludono quindi i commissari nella relazione, «il dipartimento regionale per l’anno 2006, se non altro per curiosità intellettuale, poteva mettere a confronto i dati di Fenice con quelli misurati dal proprio ente strumentale, dal cui confronto avrebbe potuto accertare, per tempo la contaminazione della falda da inquinamenti pericolosi: la stessa Arpab – infine – dal 2007 incomincia a effettuare più correttamente le valutazioni dalle quali si evidenziano gli sforamenti, e quindi avrebbe potuto informare gli enti competenti».

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