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La vicenda della Fenice e, più in generale, la “questione ambientale” in Basilicata, che hanno occupato le pagine dei giornali e gli spazi informativi di reti telematiche e tv, domandano ogni giorno di più alla “politica” di farsi strumento di comunicazione non dico della verità (tesi apodittica e in qualche modo temeraria), ma della lealtà che costituisce la ragione vera su cui reggono le relazioni civili e umane.

Se la politica, per lo statuto che la costituisce come combinazione razionale di intelligenza e di realismo, non può perciò essere il foro che certifica la verità, essa è in ogni caso chiamata al dovere della lealtà. In una parola a collegare la comprensione dei fatti e la conoscenza delle questioni all’etimo della trasparenza e della responsabilità.

Per queste ragioni il primo dei doveri che dovremmo avvertire in questo momento è cogliere il senso della drammatica centralità che la “questione ambientale” assume in Basilicata, la natura dello scarto che, come Leporace rileva nel suo teso editoriale, separa la promessa della green economy dalla natura infelice che minaccia il nostro orizzonte. Anche per non soggiacere alle convenienze del silenzio che vengono attribuite al PD, mentre è proprio per scongiurare gli effetti demagogici di una Norimberga in formato tabloid, che è necessario prendere una parola che coniughi coraggio ma anche obiettività e senso delle proporzioni, praticando quella lealtà che consideriamo indispensabile.

Diciamo subito che un primo gesto di responsabilità è venuto dalla posizione chiara del Segretario regionale del cosiddetto partito-regione. Una dichiarazione di fiducia e un chiaro affidamento alla Magistratura della quale si riconoscono equilibrio e capacità di discernimento, ma anche una riserva di verifica e di giudizio attribuita al foro interno di garanzia sul comportamento degli iscritti che sono al centro delle misure cautelari.

Aggiungiamo che un’altra delle risposte, assolutamente chiara, è venuta dal Consiglio regionale di Basilicata con la costituzione di una Commissione d’inchiesta che, una volta provveduta di poteri e di competenze amministrative e scientifiche incisivi, dovrà ricostruire la mappa delle debolezze e dei fattori di forza di una strumentazione istituzionale per il controllo ambientale che sarà chiamata a crescenti responsabilità. Una Commissione che sarà bene venga presieduta dal più autorevole esponente dell’opposizione nel segno dell’unità del Consiglio regionale concepita come un valore e come una garanzia per l’intera comunità lucana.

Non va sottaciuta inoltre la condivisione delle decisioni forti che sono intervenute e che sono in grado di garantire che, mentre si procede all’accertamento dei fatti, delle concause e dei misfatti, le fonti di inquinamento vengano chiuse. Sicché l’inevitabile contraddittorio giurisdizionale, legale e scientifico che ne sortirà non potrebbe che chiarire la natura dei problemi e il loro effettivo spettro sulla salute e sulla sicurezza delle comunità interessate, fino all’assunzione di misure definitive.

Ciò vale per la Fenice, ma anche per tutte le aree critiche che hanno diritto di essere guardate con la medesima, coerente attenzione.

Va inoltre riconosciuto che il ruolo delle istituzioni locali è apparso in sintonia con la sensibilità popolare, sicché ognuna ha operato sulla base di legittimi poteri e competenze e comunque in stretta cooperazione con gli orientamenti del Governo regionale, che si era comunque inutilmente speso perché Fenice assumesse l’autonoma decisione di sospendere le sue controverse attività.

Ma, detto questo, quali sono ora i doveri che fanno capo non solo al partito-regione, ma anche alla coalizione che regge il Governo regionale e, per le strette relazioni che collegano le responsabilità locali a quelle nazionali, all’intero sistema politico lucano?

Intanto quello di analizzare, fuori delle vecchie categorie della polemica politica che hanno campeggiato in questi giorni con cannoneggiamenti apocalittici, la natura della “questione ambientale” in Basilicata. Essa è il volto notturno della questione dello sviluppo, nel senso che pretende una curvatura coraggiosa. Infatti anche per la difficoltà, nella crisi generale del Paese e nel dramma meridionale, di attingere a risorse che non ci sono, la questione ambientale diviene, per la specificità lucana la “questione sociale” del nostro tempo. Poiché essa si carica di tutte le tensioni di una stagione nella quale, per la dialettica fra estrazione delle risorse e sviluppo sostenibile, incertezza del futuro, precarietà e paura si intrecciano con il timore che qualsiasi progressione in avanti possa tradursi nel disastro ambientale.

Una sindrome così drammatica andrebbe affrontata da una classe dirigente che, anziché dividersi, dovrebbe avvertire il peso di una forte solidarietà poiché è in gioco la difesa di due beni fondamentali: la tutela della salute e dell’ambiente dentro pratiche oggettivamente adeguate (tema primario su cui converrà rapidamente e rigorosamente riordinare tutti gli strumenti di controllo, di indagine e di comunicazione pubblica); la salvaguardia di “beni comuni” (petrolio, acqua, gas, atmosfera e territorio) che in condizioni di sicurezza, devono continuare a rappresentare una ricchezza collettiva e un patrimonio da tramandare.

Il primo degli obiettivi sarà quindi di porre immediatamente al centro di una grande riflessione politica (che il PD si appresta a sviluppare coinvolgendo tutte le forze sociali e politiche a partire da quelle che condividono lo stesso campo di valori) il tema di quale modello economico, istituzionale e sociale possa definirsi autenticamente ecosostenibile proprio perché fondato sul “pregiudizio” o, se si vuole, sul presupposto della sicurezza ambientale. Ciò che consentirebbe di assumere i “beni comuni” dentro un paradigma unico e al servizio di dinamiche che possano essere controllate da indicatori rigorosi e soggetti ad una costante comunicazione pubblica.

E’ necessario che i lucani avvertano il salto di qualità nell’impegno della politica (mi riferisco a quella militante) e soprattutto percepiscano lo sforzo che sarà indispensabile fare perché la natura dei rapporti fra potere e consenso (ha ragione Speranza) trovi una modulazione trasparente, rigorosa e civile.

Credo che non si possa uscire dal clima mortifero nel quale navighiamo se non con un gesto ricostruttivo della politica, dismettendo gli abiti della guerriglia di quartiere o di clan o le metafisiche di letterature crepuscolari, sotterrando le “moschetterie” e recuperando quell’abito di lealtà che alla politica dovrebbe competere se non vogliamo mortificarla con pretese fondamentaliste e con incongrui radicalismi.

Più il cielo si fa grigio, più urgente diviene il richiamo alla ragione, cioè alla segreta intelligenza che muove davvero il mondo.

Potranno sembrare “democristianerie”. Ma sono quelle che lo han fatto camminare finora.

Vincenzo Viti
Capogruppo Pd al Consiglio regionale

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