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POTENZA – La responsabilità dei dirigenti ministeriali e delle banche che hanno curato il progetto “flop” della Felandina è per certi aspetti «sconcertante».

Ma il tempo trascorso dal fattaccio è troppo per chiedere indietro il denaro anche a loro. Perciò restano soltanto gli imprenditori già a finiti a processo, che difficilmente faranno riapparire quei 14milioni di euro scomparsi dietro il sogno di un industrializzazione mai vista.

E’ questo il senso dell’ultima decisione della Corte dei conti della Basilicata, che ha dichiarato prescritte le contestazioni della procura regionale nei confronti della “banca convenzionata” che ha curato il progetto di sviluppo industriale di Bernalda, e i funzionari responsabili della Direzione generale per il coordinamento degli incentivi alle imprese del Ministero delle Attività produttive (ora Ministero dello Sviluppo Economico).

I giudici parlano di «piana, agevole e pacifica perseguibilità di responsabilità “lato sensu” gestorie giustamente individuabili, nella già richiamata autonoma funzionalità, in capo tanto ai dirigenti ministeriali quanto agli organismi bancari e/o consulenziali intervenuti nella vicenda».

Ma aggiungono che già «nel corpo della relazione trasmessa da Meliorbanca (oggi Bper, ndr) in data 5 luglio 2007 viene (…) chiaramente “certificato” che lo stato di realizzazione degli interventi di competenza consortile – da ultimarsi entro il 4.3.2007 – era pari al 10,73% del totale: percentuale che, come è agevole desumere, rappresenta l’esito del conclamato insuccesso della iniziativa intrapresa».

Quindi è da allora che va fatto decorrere il termine di 5 anni per esercitare un’azione risarcitoria per danno erariale, a carico dei ministeriali e delle banche che avrebbero accertato falsamente la capacità finanziaria («di apporto di mezzi propri») delle imprese del consorzio Felandina.

«Da quel momento – proseguono – erano nella disponibilità degli organi ministeriali tutti gli elementi di conoscenza e di giudizio per procedere alla revoca tempestiva delle anticipazioni, alla utile e fruttuosa escussione delle garanzie fideiussorie, all’attivazione delle iniziative recuperatorie comunque previste dalla legge». Cosa che però non venne fatta, perché si preferì procedere con la revoca del contributo, che arrivò soltanto dopo la scadenza delle polizze ad aprile del 2008.

Secondo la Corte dei conti questa omissione appare «effettivamente sconcertante», ma le relative contestazioni andavano mosse entro il 2013.

Perciò condannano a risarcire quel buco da 14milioni e 200mila euro i “soli”: Michele De Grazia, Antonio Mele, Maurizio Zaccaria, Maurizio Filippi, Mariano Chemello, Giuseppe Anneca, Innocenzo Soldo, Armando Vittorio Ottone, Gaetano Pasquale Falciglia, Achille Maria Stigliano, Laura Selvaggi, Giuseppina Selvaggi, Giorgio Ciambezi e Carlo Angelo Morini. Assieme al consorzio ormai in liquidazione “La Felandina” e le società: Agribase Milk Products, Biofiber (in liquidazione), Camilla (in liquidazione), Cierre, Felix sistemi informativi, Le Marche Fashion club, Metapontina Food Alimentare, Progetto Insieme, Regalfruit e Service Food.
Il progetto industriale “La Felandina” avrebbe dovuto creare 628 posti di lavoro e prevedeva investimenti nell’agglomerato industriale della Val Basento.

Il “flop” era finito nel 2008 sotto i riflettori della procura della Repubblica di Matera, che a settembre dell’anno scorso ha ottenuto le condanne per truffa e reati fiscali di 8 persone: Giuseppe Annecca, ex presidente del Consorzio; Innocenzo Soldo, ex direttore; Antonio Tobia, presidente di Sviluppo Sud; gli imprenditori Vittorio Armando Ottone, Pierangelo Innocenti, Maurizio Filippi, Maurizio Zaccaria, Achille Stigliano, Laura Selvaggi, Giuseppina Selvaggi, Giorgio Ciambezi e Vincenzo Maistrini.

l.amato@luedi.it

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