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POTENZA – Il potentino Donato Lorusso (42), considerato il reggente del clan Martorano-Stefanutti, avrebbe continuato a gestire l’affare dei videopoker anche dagli arresti domiciliari, grazie a un «tuttofare» in contatto continuo con i suoi referenti calabro-emiliani. Per questo ieri mattina è stato trasferito nel carcere di Betlemme.
A disporre l’aggravamento della misura cautelare è stato il gip di Potenza Luigi Spina, accogliendo la richiesta avanzata dal pm antimafia Francesco Basentini.

Stando all’accusa, Lorusso avrebbe «sistematicamente eluso le prescrizioni imposte nell’originaria ordinanza cautelare, violando in particolare il divieto di comunicare con l’esterno con persone diverse da quelle con lui conviventi».

Lo stesso giorno del suo arresto, lo scorso 22 luglio, gli investigatori della Squadra mobile di Potenza avrebbero registrato delle telefonate col suo principale «tuttofare e collaboratore nella gestione degli affari delle macchinette per ricariche e videogiochi». Un business quantomeno di «dubbia natura», secondo il gip, a cui Lorusso non aveva fatto cenno nemmeno nell’interrogatorio di garanzia, quando gli era stato chiesto della sua occupazione, «posto che lo stesso si limitava a dichiarare di prestare lavoro presso l’attività di ristorazione della famiglia».

Gli inquirenti parlano di un affare, a cui si sarebbe dedicato negli ultimi anni «unitamente a Dorino Stefanutti», l’ex boxeur in carcere da due anni proprio per l’omicidio di un imprenditore del settore (il potentino Donato Abbruzzese).
Fatto sta che dal suo «tuttofare», Nicola Santarsiero, sono risaliti a due utente intestate alla ditta Sio srl di Casalgrande, in provincia di Reggio Emilia: «società che produce e distribuisce» macchinette “totem-ricariche” per il gioco online e «diverse tipologie di pagamento di utenze e servizi».
Gli agenti della mobile hanno accertato diversi incontri tra Lorusso e Santarsiero, mentre il primo si trovava ai domiciliari. Quindi tra Santarsiero e alcuni referenti della Sio, arrivati apposta a Rapolla e Policoro per parlargli di persona.

In particolare si tratta un tale “Totò”, e di un avvocato siciliano che in passato è stato anche socio della Sio, e risultava già schedato negli archivi dell’anticrimine dal 2013. All’epoca, infatti, venne identificato in provincia di Cosenza mentre era in compagnia di uno degli attuali proprietari della ditta e di un altro personaggio davvero “sui generis”: Dominique Scarfone, alias “Mimmo il calabrese”, pregiudicato di Rosarno e indagato di recente anche per un giro di racket e usura sui video-poker lungo la direttrice Puglia-Emilia. Lo stesso “Mimmo” Scarfone saltato letteralmente in aria 3 mesi fa, a Mesagne, mentre cercava di dar fuoco alla villetta di un imprenditore pugliese, per motivi ancora poco chiari.
«Non è una coincidenza – spiega il gip Luigi Spina – che la società Sio srl abbia sede in un territorio, quello della provincia di Reggio Emilia, in cui si è maggiormente manifestata anche di recente la presenza degli affiliati alla cosca calabrese dei “Grande Aracri” (…) specie ove si consideri che l’esistenza di stretti e diretti legami personali tra Lorusso ed Ernesto Grande Aracri veniva dimostrata anche all’interno del presente procedimento».

Lorusso era finito ai domiciliari a luglio con l’accusa di tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso ai danni della Salvaguardia ambientale spa di Crotone, che gestisce l’appalto per lo smaltimento dei rifiuti speciali delle Asl lucane.
Ma nell’ordinanza eseguita ieri mattina gli viene contestata anche un’altra tentata estorsione ai danni di una società di Crotone, che è poi il territorio di riferimento degli amici del potente clan “Grande Aracri”.

Tra ottobre e novembre dell’anno scorso Lorusso si sarebbe presentato due volte ai referenti della Crotonscavi-Costruzioni generali spa, impegnata con altre imprese in alcuni lavori di bonifica ambientale per conto dell’Eni, nella zona di Ferrandina. Prima nel cantiere di Pisticci, e poi direttamente a Crotone, dove hanno sede gli uffici della ditta.
Avrebbe offerto servizi vari, dalla fornitura di carburante, mezzi e materiali alla mano d’opera. E non si sarebbe arreso nemmeno davanti al no dell’amministratore della società, invitandolo «con toni perentori (…) ad “attendere prima i loro servizi”». Poi sarebbe stato lui stesso a decidere «l’entità del compenso da versare».
Per l’estorsione alla Crotonscavi risulta indagata anche un’altra «persona non individuata», che sarebbe tornata sul cantiere di Pisticci qualche giorno dopo per sapere se ci fossero «novità» rispetto all’offerta avanzata da Lorusso.

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