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SE c’è un settore in cui la politica regionale non può accampare scuse in ordine agli insuccessi conseguiti è quello delle politiche del lavoro, materia di sua competenza costituzionale.
Sono noti i ritardi, per restare all’ultimo provvedimento varato, riguardanti l’applicazione delle misure inerenti la garanzia giovani, le scarse o nulle informazioni sugli esiti fin qui conseguiti dalla stessa. Siamo avanti ad un flop a scala nazionale con soltanto 10 mila giovani che hanno trovato un lavoro , di cui 1.500 nel Mezzogiorno. E’ troppo sapere quanti giovani sono stati mobilitati in Basilicata? Quante risorse sono state impiegate o si prevede di potenziare, more solito, per le sovrastrutture (enti di formazione, esperti, centri per l’impiego, ecc.), a cui delegarne la gestione? Se e quale raccordo è stato definito con l’Inps ed i servizi per l’impiego pubblici e soprattutto privati per garantire la stretta connessione tra ricerca del lavoro ed erogazione del sussidio? Non ci illudiamo di avere risposte esaurienti a tali quesiti. Manca completamente la governance che dovrebbe sovraintendere a tutto questo e cioè un piano del lavoro, in cui prospettare obiettivi quantitativi e qualitativi ,scelte, strategie, risorse finanziarie strutture di monitoraggio e valutazione degli andamenti delle variabili che caratterizzano il mercato del lavoro. L’Osservatorio del mercato del lavoro, per dirne una, resta in mente dei, nonostante la Ue dal 2006 ne solleciti la creazione. Permane la palude della platea dei lavoratori sussidiati a vario titolo, spesso male per la verità, dalla regione e dallo Stato (lavoratori in mobilità, forestali, i beneficiari del reddito di cittadina che in Basilicata risale ormai a 15 anni fa) che sono il bacino principale da cui attinge il lavoro nero.
Ci sarà un momento in cui tutto questo ambadaran sarà oggetto di analisi per capire quanto si è speso e si sta spendendo tutt’ora e con quali esiti?
La formazione, classificata formalmente tra le politiche attive del lavoro, è in realtà nei grandi numeri una misura passiva, serve per parcheggiare il disoccupato ed attivare un esercito di formatori, in presenza di progetti di formazione improbabili perche non sottoposti a valutazioni attendibili sui reali sbocchi occupazionali.
Non è un mistero che gli accertati fallimenti delle politiche regionali del lavoro stanno spingendo il Governo nazionale a varare l’idea di una AGENZIA nazionale per l’occupazione, a cui far risalire le competenze regionali, replicando modelli virtuosi presenti in nazioni più avanzate (Germania, Francia) , da realizzare nell’ambito di una riforma del titolo \/ della Costituzione, indispensabile dopo gli innumerevoli guasti prodotti dalle regioni.
Lo ripeterò fino alla noia: il lavoro lo determinano le imprese, se e quando avvertono una maggiore domanda dei beni e servizi da esse prodotti. In questo scenario, le politiche attive hanno un senso, possono effettivamente fungere da acceleratore di nuove assunzioni. Diversamente sono solo spreco di risorse, un motore che gira in folle.
In secondo luogo , va fatta una riflessione sugli incentivi per assumere: certo che c’è una grande disoccupazione giovanile da fronteggiare, ma quando c’è domanda, le imprese si rivolgono esclusivamente ai giovani. E la domanda la si ha con meno tasse alle imprese, meno costo del lavoro, una Pa più efficiente, non certo con palliativi pubblici.
Chi resta normalmente fuori dai cancelli delle fabbriche sono le donne spesso considerate un affaticamento organizzativo e gli over 40-45. Riconoscere una sostanziale parità di incentivazione ai giovani e agli emarginati di fatto significa escludere forse definitivamente forza lavoro composta di capifamiglia che hanno una disperata voglia di lavorare. La donna che non lavora crea un vulnus demografico di estrema gravità ed in Basilicata ne sappiamo qualcosa. Un over 45 disoccupato pone una grave questione di giustizia sociale.
Qualcuno ha pensato di chiedere alla Fiat di Melfi di coprire i nuovi posti di lavoro con una quota anche minima (5%?) di over 45, nell’ottica di concepire l’impresa anche nella sua funzione sociale?
Sul piano più generale, la Regione Basilicata non avverte la necessità di accettare la sfida dello Stato anche in materia di lavoro. Continua a fare politiche frammentarie come “datore di lavoro di ultima istanza”, sprecando risorse e attivando finti lavori o quasi, col sostegno dei sindacati e di una burocrazia con scarse competenze economiche, che è la proiezione degli equilibri e dei desiderata dei politici più che di una selezione in base al merito ed alle competenze richieste . Dice sabino Cassese che “se vogliamo far funzionare la Pubblica Amministrazione dobbiamo chiudere per 20 anni le facoltà di giurisprudenza”. Io mi permetto di aggiungere di utilizzare i laureati in biologia e geologia in base al loro percorso universitario e non come succede alla Regione Basilicata per incarichi molto lontani dai loro studi dettati da motivazioni clientelari, conseguendo risultati non certo esaltanti .

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