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CASSANO ALLO IONIO (CS) – La guerra per il predominio della vasta area della Sibaritide, l’alleanza di ferro tra i due padrini – uno di Cassano e l’altro delle Preserre Vibonesi – lo scambio di favori tra i due. E il sangue, tanto, quello che ha bagnato il territorio all’inizio degli anni 2000. Antonino Forastefano, alias “Tonino il diavolo”, e Bruno Emanuele si erano “giurati” reciproco supporto avviando una joint venture criminale che aveva i maggiori introiti nel traffico di sostanze stupefacenti provenienti dall’altra sponda dell’Adriatico: quella albanese.

Ma per essere liberi di operare sarebbe stato necessario fare fuori i rivali. Come Nicola Abbruzzese e e Antonino Bevilacqua, “Popin”, freddati a cavallo tra il 2003 e il 2004, quando il legame tra i due boss, il primo pentito, il secondo ancora temuto, era più saldo che mai.

Due omicidi eclatanti che ieri hanno trovato la loro conclusione in via giudiziaria con il sigillo della Corte di Cassazione che ha confermato il carcere a vita per Emanuele Bruno, assistito dagli avvocati Vincenzo Galeota e Giancarlo Pittelli, e 14 anni per l’ex capobastone di Cassano allo Ionio, difeso dall’avvocato Sante Foresta.

Due agguati perfetti quelli portati a termine dai due imputati che avevano la passione per la lupara. Bruno, in particolare, era un killer di professione, dalla mira, si racconta, quasi infallibile. Uno sconto armato senza tregua tra le due fazioni criminali che culminò con l’uccisione di Fioravante Abbruzzese e Eduardo Pepe del 3 ottobre 2003 (per il quale nei confronti dei due più Andrea Martucci è stata fissata la data davanti al gup) e di Nicola Abbruzzese – reggente dell’omonimo clan degli Zingari -, avvenuta nel giugno precedente davanti ai figli, a pochi passi dalla caserma dell’Arma di Cassano, e di cui Forastefano si è sempre assunto la paternità.

A chiudere i conti fu, invece, proprio Emanuele Bruno freddando, nelle campagne cassanesi, Antonio Bevilacqua. Era la punta di diamante di un commando di morte alla guida dell’auto dalla quale partì la pioggia di piombo. E fu proprio Forastefano, che poi avrebbe saltato il fosso iniziando a collaborare con la giustizia, ad indicare il boss 40enne delle Preserre quale sicario, tra l’altro già imputato a Vibo per il duplice omicidio dei fratelli Loielo, Giuseppe e Vincenzo, avvenuto nell’aprile del 2002 e che cristallizzerebbe ulteriormente la presenza di un legame forte tra i due padrini, visto che anche l’ex boss di Cassano ci è finito a processo.

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