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Un particolare della locandina della presentazione del libro di Vannacci

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Nella vicenda Bronzi-Vannacci, il generale non ha alcuna colpa, visto che i due guerrieri arrivati da Argo sono dell’intera collettività

IN QUESTA storia dei bronzi, il generale Vannacci non ha alcuna colpa, anzi lo ringraziamo per l’assist, anche se il gol sarà difficile. Il fatto accaduto è minuscolo, ma il problema resta grande: chiama in causa le Soprintendenze, i Musei calabresi, i creativi di serie A e quelli di terza categoria, ovviamente la politica. Ma prima di raccontare quello che è successo, una premessa va fatta con un esempio, quello di Siena. Per via del Palio e della splendida piazza del Campo, la città toscana è conosciuta in tutto il mondo: è capitato negli anni che immagini della corsa (o carriera, come la chiamano loro) della trecentesca Torre del Mangia siano finite dentro i Pokémon, in docufilm, su scarpe e borse, su un pacchetto di sigarette, usate perfino da CasaPound. Contro tutti gli abusi c’è un organismo che si chiama “Consorzio per la Tutela del Palio di Siena”, che è voce moderna di quella organizzazione medievale così gelosamente conservata.

Ebbene, il Consorzio è riuscito a battere perfino la Sony, costretta a rimuovere le bandiere delle contrade dal videogioco “Gran Turismo”, proprio perché riprodotte senza autorizzazione: ma la letteratura delle vittorie è ampia, per molti motivi. Prima di tutto, sono i cittadini stessi ad essere custodi del Palio e a segnalare le violazioni. E poi, perché la voce “sfruttamento dell’immagine” porta utili che vengono ridistribuiti alla città, già ricca di suo.

Leggiamo insieme: “Poiché al Consorzio per la Tutela del Palio fa riferimento tutto ciò che riguarda simboli, araldica, colori e genericamente immagini delle 17 Contrade e del Palio ed essendo stati registrati i relativi marchi presso gli organi competenti in materia, chiunque intenda realizzare a fini commerciali qualunque tipo di oggetto, anche di carattere artigianale, recante colori e simboli delle Contrade deve presentare al Consorzio i 17 prototipi (o almeno il progetto grafico completo), che verranno analizzati dal Cda valutando sia la tipologia di prodotto, che non deve essere in alcun modo lesivo per il decoro delle Contrade e del Palio (…) Il contratto avrà durata annuale, non tacitamente rinnovabile”.

E poi si parla di royalties. Per effetto di queste rigide regole, prima di toccare o di usare la festa che si svolge il 2 luglio e il 16 agosto di ogni anno, le aziende e i pubblicitari chiedono il permesso. E una Commissione qualificata decide. Ora proviamo a sostituite alla parola Palio o contrade quella “Bronzi” o “Capo Colonna di Crotone”. Intendiamoci, il regolamento ministeriale esiste, ci sono le tabelle con il costo per la riproduzione delle immagini: un percorso certamente tortuoso. Che sia un libro d’arte o un supermercato, i paletti in teoria sono tanti e stabiliti anche da leggi nazionali. Il punto è: ma poi qualcuno rispetta queste norme? Certo non spetta al Ministero, né ai direttori dei Musei fare i controlli on the road. Anche in questo caso, la vicenda potrebbe essere quindi archiviata alla voce “I tesori che non sappiamo di avere” oppure “I soldi che buttiamo dalla finestra”.

Mentre Siena batte la Sony, la Calabria non blocca nemmeno la pasticceria sotto casa. Mi si dirà: anche il grembiule stile David di Michelangelo compare in vendita su Amazon e nelle migliori bancarelle in versione sexy. Ma questa non può essere una consolazione: visto che di guerrieri ce ne sono solo due, e sono unici al mondo. Qui si torna ai bronzi e al generale Vannacci, che forse vorrebbe essere il terzo Bronzo, il sogno di tutti gli archeologi, i dietrologi e i sub. E si va alla locandina che annuncia la presentazione del nuovo bestseller dell’ormai famoso militar-macho. Che non ha paura di essere accostato sul manifesto ai due guerrieri di 2500 anni fa, alti 1,98 e 1,97, con tutti gli attributi del caso, sentendosi probabilmente un esempio di bellezza maschile.

La scelta suonerebbe un po’ ridicola se non fosse associata a grandi e complesse questioni politico-strategiche in cui l’Arte suprema non dovrebbe entrare. Difficile per evidenti motivi tirare i Bronzi per la giacchetta, ma una cosa è chiara: i due guerrieri arrivati da Argo sono dell’intera collettività. E vanno stabilite norme chiare di usabilità della loro immagine, come succede al Palio di Siena, e questo vale per l’intero patrimonio archeologico della nostra amata Magna Grecia. Ieri pomeriggio, dopo le proteste di molti cittadini, è intervenuto il direttore del Museo di Reggio Calabria.

Ma in questi anni abbiamo invece visto i Bronzi A e B (o Polinice ed Eteocle, secondo le teorie del professor Castrizio) avvolgere i biscotti alla mandorla, comparire sulle etichette degli amari, clonati a guardia di un negozio di antiquariato, riprodotti nelle felpe, deformati nelle campagne pubblicitarie e costretti a giocare a pari e dispari, sulla pubblicistica stradale, negli stabilimenti balneari, buttati nel mare della Versilia fra le risate della gente. Per la verità, ogni intenzione è lecita, anche la più stupida: quello che manca è il controllo. Ci fu anche un tentativo di valore artistico: il fotografo Gerald Bruneau, allievo di Andy Warhol, li ritrasse con il velo da sposa, in tanga leopardato e con una boa fucsia: le immagini dei bronzi fecero il giro del mondo, chissà perché il generale non ha scelto quelle.

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