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AD ogni morte di papa, è proprio il caso di dirlo, la dirigenza della Regione Basilicata prende cappello… e mostrando orgoglio per il ruolo che riveste, snocciola le solite lamentele e frustrazioni che vive quotidianamente, avanti alle prevaricazioni del ceto politico che guida la regione.

La mia amica Enrica Marchese, segretaria del Direr Basilicata, nei giorni scorsi è ritornata sull’argomento con una presa di posizione per molti aspetti condivisibile: ritiene fondate le critiche che vengono rivolte da più parti  alla dirigenza, in riferimento alle sue responsabilità gestionali, scostandosi da situazioni autoreferenziali che spesso hanno caratterizzato anche tale categoria professionale, connesse ed a valle delle continue quanto presunte virtuosità manifestate dai suoi vertici politici. Ha fatto riferimento alla riforma Bassanini che prevedeva, e prevede tutt’ora, la separazione tra funzioni e responsabilità amministrative e politiche, finalizzata a garantire l’indipendenza, la trasparenza e l’equità nell’attività amministrativa. Ha elencato molti punti su cui andrebbe riorganizzato l’apparato regionale, prospettando ben 9 proposte operative.

Purtroppo, ha fatto un lavoro a metà, ossia ha evidenziato e denunciato soltanto alcuni nodi che impediscono alla molteplici eccellenze che pure vi sono in Regione di fare efficacemente il proprio lavoro, rilevando con coraggio come “nella realtà dei fatti il dirigente è privato della gestione effettiva delle risorse umane e finanziarie, nonchè della loro organizzazione , nonostante la propria diretta responsabilità”. Ma non si è soffermata sulle vere cause che hanno prodotto e producono tali situazioni. Non una parola sulla fratellanza siamese che lega indissolubilmente politici e burocrati e che è alla base delle discriminazioni e cattiva utilizzazione delle risorse disponibili, accompagnate da elementi corruttivi piuttosto ampi,  il tutto in funzione chiaramente clientelare.

Non un cenno sul perché della navigazione a vista e degli investimenti a pioggia che pure portano la firma della dirigenza, piuttosto che sulla organizzazione del personale per compartimenti-stagno, operanti in splendido isolamento per assecondare i notabili politici ed amministrativi che spesso,caso unico in Italia, indossano contemporaneamente le magliette del politico, del responsabile di partito e del burocrate, conciliando fruttuosamente ovviamente tempi e carriere. Nessun riferimento alla produttività del lavoro del personale in esame (mi sono imbattuto di recente in un funzionario che “a sua insaputa”pur aveva predisposto il provvedimento amministrativo richiesto), alle esigenze di formazione di cui forse avrebbe bisogno, essendo ripiegato prevalentemente su procedure amministrative, più che sulle alternative d’impiego delle risorse  e dei relativi risultati da conseguire, attività queste che richiedono competenze difficilmente reperibili attualmente  in regione e che vanno acquisite con urgenza, se si vuole rinnovare la struttura amministrativa regionale.  Nessun cenno ai criteri e strumenti  di valutazione del personale regionale, non certo indipendenti dal potere politico. Cara Enrica, è l’intero sistema politico-amministrativo che non va, perché organizzato per garantire, la sopravvivenza della classe dirigente, sia politica che burocratica, non certo la ricerca dell’interesse generale, come ampiamente dimostrano gli indicatori demografici ed economici, pur in presenza delle enormi risorse  finora affluite in Basilicata. Ad ognuno il suo carico di responsabilità.

Si è schiavi di questo sistema perché si vuol essere in questa condizione. Ce lo ha spiegato nel cinquecento Etienne de la Boètie, parlando di servitù volontaria.

Il dirigente che si fa scippare le sue prerogative, non è un manager, è un signore che mette il ciuccio dove vuole il padrone, percependo una retribuzione solo parzialmente dovuta. Si tratta di cose che ho avuto modo di denunciare invano in molte circostanze. Un breve aneddoto: un dirigente generale mi raccontava che con gli altri suoi colleghi dovette aspettare ben 7 ore davanti alla porta della Giunta, in attesa che la stessa scegliesse i nomi dei capi-ufficio da far nominare ai dirigenti in questione, sostituendosi di fatto agli stessi su uno dei cardini su cui si regge l’organizzazione amministrativa, deresponsabilizzando di conseguenza la dirigenza anche agli occhi dei funzionari da nominare e determinando i presupposti per destrutturare completamente l’intero  contesto. Nomine che ovviamente i dirigenti  acriticamente fecero, invece di opporsi e nel caso dimettersi.    Sottrarsi a tale stato di cose non è facile, soprattutto in una regione come la Basilicata, in cui l’invasività della politica permea le persone “dalla culla alla morte”, figuriamoci se il ceto politico tralascia l’intervento sul suo apparato amministrativo che rappresenta il mezzo più strategico per organizzare il “suo” consenso e per blindarsi elettoralmente.

All’interno dell’Ente regione prosperano tanti giani bifronte, tanti ircocervi, metà burocrati e metà politici, tanti servi volontari, impegnati ad organizzare comitati elettorali, liste civetta in campagna elettorale, a dispensare favori sulla base dei “desiderata”dei politici e a  ritagliarsi in tale contesto le proprie carriere a tutto campo.

Come uscirne? Non basta certamente una denuncia episodica da parte degli addetti ai lavori, i quali comunque potrebbero porre il tema della privatizzazione della dirigenza con la conseguente valutazione del proprio operato e della propria riconferma nell’incarico ad organismi nazionali od internazionali realmente indipendenti, sulla base dei risultati conseguiti, superando l’attuale situazione del controllore-controllato. Lo scardinamento del sistema passa, in realtà, attraverso una azione culturale e politica che investe, se non altro, l’intera la sua classe dirigente regionale. Costruire alleanze tra le nuove leve in cui si sviluppano i partiti, il volontariato, i luoghi terzi (scuola, università, ecc.) forse può essere la via per affrontare, in tempi non brevi, un problema che è antropologico e che riguarda la società nel suo complesso.    

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