X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – «Oggi ho ripreso fiducia nella giustizia che a lungo non mi aveva tutelato. Ma non meritavo un secondo giudizio da chi governa questa regione».
Ha ringraziato i magistrati e ha puntato il dito contro la politica Roberto Galante, l’ex re delle preferenze del capoluogo: ieri pomeriggio subito dopo l’assoluzione nel processo sui rapporti col clan Cossidente.
Per il gup Tiziana Petrocelli «il fatto non sussiste», anche se il pm Francesco Basentini aveva insistito fino all’ultimo chiedendo una condanna a 3 anni e un mese di reclusione.
Galante era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa assieme all’ex assessore regionale Agatino Mancusi (Udc), al segretario regionale di Centro democratico Luigi Scaglione e all’ex consigliere d’amministrazione di Acqua spa, Luigi Biscione.
Per loro il gup ha disposto il rinvio a giudizio davanti al collegio del Tribunale il prossimo 30 ottobre. Quando dovranno comparire in aula anche l’ex assessore del capoluogo Rocco Lepore, Michele Di Bello e lo stesso boss Cossidente, imputati per l’incendio della porta dello studio dell’avvocato Massimo Molinari, che era in contrasto con Lepore per ragioni politiche. E un ex fedelissimo di Cossidente, Carmine Campanella, che è accusato per un’estorsione legata al business della security dei locali notturni del potentini.
Galante era stato l’unico ad optare per il rito abbreviato, per questo ieri il gup ha dovuto decidere con sentenza sulle accuse nei suoi confronti. I presunti favori elargiti al clan, in veste di factotum dell’ufficio amministrativo dell’ospedale Don Uva, in cambio di voti e protezione personale. Come quando è finito a lavorare come elettricista il figlio di uno storico alleato del boss: il pignolese Saverio Riviezzi. Oppure la commessa alla ditta di Franco Rufrano. O ancora l’incontro propiziato all’interno della struttura tra Cossidente e tale “Giuliano di Termoli detto Papillon”, per discutere di una questione economica al riparo da occhi indiscreti.
«E’ vero che Antonio Cossidente parla dei rapporti del suo clan con i politici sin dall’inizio della sua collaborazione con la giustizia, a ottobre del 2010». Ha spiegato l’avvocato Alessandro Singetta. «Ma non parla di Galante né nel primo né nel secondo e nemmeno nel terzo interrogatorio davanti agli inquirenti, quando ha citato esclusivamente Mancusi, Lepore e Scaglione. Il suo nome viene fuori a distanza di quasi due mesi e sempre in maniera marginale».
Rispetto ai favori Singetta ha evidenziato in aula l’assenza di riscontri a quanto dichiarato dal pentito. Come pure sui voti ricevuti dal clan. Perché Cossidente e i suoi uomini «non potevano appoggiare contemporaneamente tutti». E «nel 2005 Galante non era stato candidato in alcuna competizione elettorale».
Quanto invece alla protezione ricevuta, rispetto a una questione di carattere personale, Singetta si è soffermato sulle querele presentate dall’ex consigliere comunale. Anche dopo il presunto intervento “pacificatore” del boss. «Il mio assistito ha continuato a essere vessato per un anno e mezzo, tant’è vero che l’ultima denuncia è di novembre del 2008».
Galante ha accolto la lettura della decisione del gup visibilmente provato ed emozionato.
«Trionfa la giustizia e ringrazio il giudice e la pubblica accusa, che ha fatto il suo lavoro». Questo è stato il suo commento non appena si è esaurita la commozione.
Ma nessuno spiraglio per un ritorno in politica, a cui l’ex consigliere ha riservato parole infuocate.
«Mi sono ritirato per difendermi al meglio e dare la possibilità ai magistrati di giudicare con serenità. Ma anche perché questa politica non mi piace e mi ha deluso. C’è gente condannata che ancora ricopre incarichi di rilievo. Il popolo è buono solo quando si deve votare, poi non conta più nulla».
Galante, ex Idv e Popolari-Udeur, fa riferimento anche alle vicende della vecchia amministrazione del capoluogo, in cui non è mai riuscito a trovare spazio nonostante il consenso ricevuto. Né per entrare in giunta, né per sedere alla presidenza del consiglio comunale.
«Mi è bastato che gli amici mi invogliassero a continuare nonostante tutto. Va bene così. Ora non me la sento più, anche per la tranquillità della mia famiglia». Conclude l’ex consigliere comunale. «Posso sempre contribuire a questa città dando un’educazione ai miei figli: a tenerla pulita e a rispettarla».

 

l.amato@luedi.it

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE