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di LUIGI SIMONETTI*
LA discussione appena aperta dal Partito Democratico di Basilicata sul rapporto tra politica regionale e società lucana ed in particolare sullo sviluppo della nostra regione e sui suoi indirizzi possibili, assume carattere rilevante per le traiettorie future dell’interno tessuto economico e democratico regionale. Specie in un frangente come questo, in cui sono in atto mutamenti profondi e al centro della vicenda politica tutta vi è la crisi della democrazia moderna ed il rapporto tra le istituzioni, l’economia e la finanza. Del tentativo di approcciare correttamente questa riflessione va dato atto ( pubblicamente ) a Roberto Speranza e a Vito De Filippo, che in questo passaggio cruciale, hanno aperto una stagione nuova di confronto diretto e di partecipazione ( cosa assai utile a mio giudizio ), nel tentativo di individuare la via corretta che produca un miglioramento diffuso delle condizioni delle nostre comunità. E’ indubbio che l’attuale fase economica, globale, ha prodotto una rottura dei vecchi modelli (sia economici che politici) e che nessuno ha in tasca, e da offrire, una soluzione, ma è altrettanto indiscutibile che nel mezzo di queste trasformazioni (a mio parere) vi siano le persone, con i loro bisogni ed i loro interessi e le relazioni (spesso passive) con i mutamenti economici, frequentemente dettati da ragioni finanziarie, lontane dai territori dove poi producono i loro effetti. Mi sembra essere questo uno dei nodo centrali che le classi dirigenti di Basilicata hanno innanzi, nel pieno della crisi di sistema che l’Italia sta attraversando, e che le obbliga ad affrontare con consapevolezza e realismo la sfida di tenere insieme questa regione e di ancorarla all’Europa e ai processi di cambiamento che anche nel Mediterraneo si stanno manifestando. In questo quadro mi permetto di offrire alcune tracce sulle questioni del lavoro e sulla vicenda Fiat, su cui lo stesso Segretario del Partito Democratico ha annunciato di voler costruire un approfondimento di merito, e lo faccio con la convinzione che gli insediamenti industriali di San Nicola di Melfi per la quasi totalità hanno produzioni per nulla decotte e a pieno nei mercati economici europei e mondiali, questo elemento mi porta a considerarli fattori utili sui cui provare ad innervare la nostra economia, visto anche il peso che hanno nel Prodotto Interno Lordo regionale. In particolare penso sia utile provare ad anticipare la discussione sulle questioni che a breve, come è già successo per altri stabilimenti, riguarderanno la Fiat di Melfi, ed il nuovo contratto che Marchionne sottoporrà ai lavoratori ed alle forze sociali, cercando di evitare lo scimmiottamento del dibattito nazionale su vicende analoghe, che tanto danno ha già fatto, invertendo i termini del confronto affinché il tutto non si riduca a mero tifo da stadio. Ovviamente mi rendo perfettamente conto delle implicazioni nazionali (e non solo) che sul tema inevitabilmente ci saranno e che sarebbe del tutto velleitario cercare una via autarchica, in salsa lucana, ad una vicenda che ha connotati ed interferenze anche di economia internazionale e su cui pesa come un macigno l’assenza del Governo nazionale e l’inesistenza di sue politiche industriali, credo però sia utile affrontare il tema e non solo in relazione allo stabilimento Fiat ma attorno all’interna area industriale, per evitare che ci si avviti nella dialettica dello scambio (pericoloso e negativo) diritti-lavoro. E’ utile ricordare che l’area industriale di Melfi nacque non con l’avvio della produzione dello stabilimento Sata, ma molto prima e rappresenta probabilmente il più riuscito investimento della vecchia 219, legge sugli investimenti produttivi per le aree del cratere del sisma del ’80. Insomma io proverei a far partire dal Governo Regionale uno stimolo verso la Fiat per farle superare la vecchia teoria del “prato verde”, di uno stabilimento slegato dal territorio di appartenenza ed indifferente (almeno così sembra) ad un rapporto regionale e con gli enti locali. Tentativo (ottimamente) avviato già per il Campus universitario della ricerca che ora sono convinto vada esteso in particolare alla logistica, non solo a servizio della Fiat, ma come possibile piattaforma che valichi i confini regionali e che lungo l’Asse Sele – Ofanto metta insieme un’area vasta, dalla Campania fino alla Puglia e si connetta ai futuri corridoi europei degli scambi commerciali con il resto del mondo. Melfi e tutta la zona del Melfese su quell’asse sono centrali ed è l’area ideale su cui concentrare futuri investimenti che facciano della logistica elemento di sviluppo concreto. Detto questo e per tornare alle vicende strettamente Fiat, lo stabilimento di Melfi è in una condizione del tutto differente da Pomigliano e da Mirafiori, sia in termini di efficienza degli impianti sia in termini di flessibilità dei lavoratori, e potrebbe essere, sempre che anche Fiat dimostri disponibilità, il luogo su cui implementare sviluppo e sinergia con il territorio. Ci troviamo del resto, anche rispetto al piano industriale di Marchionne per Fiat, in una fase ancora non dettagliata sui futuri investimenti aziendali e la riflessione avviata qualche giorno fa’ da Pasquale Carrano, Presidente di Confindustria Basilicata, che manifestava l’interesse e la disponibilità a lavorare per nuove esperienze di “reti d’impresa”, per l’innovazione di processo e di prodotto, può essere l’opportunità per un patto vero, di “co-responsabilità” per lo sviluppo ed il lavoro. Da Melfi si potrebbero avviare quelle sinergie con il tessuto imprenditoriale lucano tali da lanciare quello che è stato definito indotto di secondo livello, sempre richiamato ma mai partito. Su queste temi, ripeto, rigettando lo scambio cessione di diritti per il lavoro si può aprire, anche in previsione delle future elezioni comunali di Melfi, un confronto profondo, non ideologico, che chiami anche gli enti locali ad investire efficacemente in infrastrutture materiali ed immateriali, per attrarre anche nuovi investimenti oltre che per rafforzare quelli esistenti, provando a creare più lavoro stabile. Sono convinto che una discussione ed una piattaforma di questo tipo, che prova a mettere insieme imprese e lavoratori, territorio e sviluppo, troverebbero la partecipazione di tutti, perché sarebbero chiare le ragioni del patto e la scommessa di futuro. Ho esitato prima di mettere per iscritto queste riflessioni, perché non vorrei che venissero confuse per rivendicazioni territoriali, ma al contrario spero si rifletta con attenzione su Melfi e sulla capacità attrattiva della sua area industriale, anche perché il treno della Basilicata si dovrà pur collegare ad una locomotiva e a me pare che quella di San Nicola di Melfi sia, ad oggi, quella con maggiore potenza. *Direzione Regionale Partito Democratico
di Basilicata

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