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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Agli spari della notte di Capodanno, apportatori di morte e di violenza (su cui mi sono soffermato su questo giornale) hanno fatto eco giorni fa altri spari, apportatori di morte e di ulteriore violenza. Tra questi risalta, per ferocia, quello che ha troncato la vita della piccola Joy, di 9 mesi, in braccio al suo papà Zhou Zen, di 31 anni, anch’egli ucciso dallo stesso colpo, nel corso di una rapina nel quartiere romano di Torpignattara. Commozione, dolore, compartecipazione sono i sentimenti prevalenti suscitati da questa azione criminale. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il pontefice Benedetto XVI, uomini delle istituzioni, noti esponenti della società civile, “semplici” cittadini hanno espresso condanna del gesto e solidarietà alla madre-moglie Zeng Lia, di 26 anni, scampata lei stessa alla morte, ma non all’annientamento dei suoi cari. Un corteo di oltre diecimila persone, prevalentemente cinesi giunti da ogni parte d’Italia, con la significativa presenza di nostri connazionali autoctoni, ha percorso le strade di Roma e di altre grandi città italiane dietro le fotografie delle vittime e pronunciando parole non di odio, ma di pace e di tolleranza, ripetendo continuamente per ore «no alla violenza, più sicurezza», alternando il cinese all’italiano. Altissimo esempio di reazione pacifica a un gesto di assoluta violenza. La piccola Joy è l’ultima, in ordine di tempo, di una serie di gesti omicidi compiuti ai danni di bambini. La “strage degli innocenti” ordinata da Erode, atterrito dalla domanda dei Magi dove fosse nato il re dei Giudei e deciso ad annientare chiunque potesse sostituirlo nel potere, e tante altre uccisioni, inflitte a bambini non meno innocenti, testimoniano come l’infanzia non sia stata di fatto tutelata nelle diverse epoche, tranne che nelle proclamazioni, così dense di retorica, di Anni dell’Infanzia, di Feste della Famiglia, attraverso figure cardini quali la Mamma, il Papà, cui si sono aggiunti in questi ultimi tempi i Nonni, mentre si sono attestati in “pole position” lo Zio, la Zia e parenti vari, tutte finalizzate ad aumentare gli acquisti dei doverosi doni. Certo, vi sono delle eccezioni, ma in linea generale ai bambini le carezze le fanno prevalentemente i dittatori nei loro frequenti e gratificanti bagni di folla. Gli assassini di Joy, anche se soltanto uno ha sparato, sono stati identificati e fuggiti presumibilmente dall’Italia, continuano a essere ricercati ovunque per essere assicurati alla giustizia. È augurabile che ciò avvenga, perché si mostri con tutta evidenza che il delitto non paga, su nessun piano. Ma anche dopo una soluzione siffatta, siamo sicuri che i conti tornerebbero, che nessun altro problema possa essere posto, che nessun’altra domanda sia possibile? Sembra che i due assassini siano due marocchini, uno trentenne con precedenti penali e l’altro di venti anni, suo complice. La loro azione non è in alcun modo accettabile, giustificabile, e lo sottolineo con decisione a evitare qualsiasi fraintendimento. Ribadito tutto ciò, possiamo notare che, nonostante tutto, vittime della loro stessa violenza sono anche i due assassini, che avranno comunque un futuro devastato. Uccidendo due innocenti hanno ucciso anche la loro speranza di una vita diversa; annientando sono stati di fatto annientati, secondo una spietata “lex talionis”. Il principio della responsabilità individuale delle nostre azioni va posto come irrinunciabile e nessun richiamo alle responsabilità della società può annullarlo di fatto, ché altrimenti entreremmo in una prospettiva di giustificazionismo acritico, accusa che, anche se infondata è stata spesso rivolta alle scienze dell’uomo. Queste però possono sviluppare ipotesi, narrazioni plausibili di dinamiche che vengono indagate nelle loro cause e nei loro effetti virtuali, rendendoci così un po’ più cauti, un po’ più problematici. Comprendere le probabili cause di azioni, che pur condanniamo, ponendoci nel loro interno, o tentare di farlo, non significa in alcun modo giustificare. A parte la considerazione che gesti simili all’azione omicida dei due marocchini sono e sono stati compiuti nel nostro immediato passato da italiani, è lecito domandarsi se e quante volte i due immigrati marocchini abbiano sperimentato sulla loro pelle la violenza del loro contesto originario e, giunti nel nostro Paese, la violenza di discriminazioni, di emarginazione, quando non di esplicito razzismo. Nel nostro Paese, infatti, si sono sviluppati, contemporaneamente e contraddittoriamente, la cultura dell’accoglienza e quella del rigetto; dell’accettazione dell’altro e del suo rifiuto. I diversi protagonisti dell’alterità, comunque declinata e denominata, sono visti da alcuni come occasione di arricchimento culturale, di scambi, di conoscenze e da molti altri come minaccia, portatori di pericolo, di dannose contaminazioni. Con riferimento a quest’ultima posizione, i due immigrati avranno interiorizzato implacabilmente una violenza che con non minore implacabilità hanno restituito. È individuabile, cioè, una partenogenesi della violenza; una volta seminati i germi dell’odio e della violenza, questi autonomamente fruttificheranno e produrranno ulteriore odio, più intensa violenza. Una tale dinamica non può essere fermata, può essere soltanto annullata radicalmente, sviluppando azioni in assoluta controtendenza. È ovvio che non tutti i destinatari di violenza giungono ai gesti estremi dei due assassini, ed è una fortuna che sia così, altrimenti assisteremmo a una ecatombe senza fine. Ma che alcuni lo facciano o possano farlo ci richiama a precise corresponsabilità, che non possiamo eludere unendoci facilisticamente al coro delle pur giuste esecrazioni.

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