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di ETTORE JORIO
Chi ha ragione e chi ha torto lo vedremo. Dal responso, spero, impareremo a esprimere il consenso esclusivamente a favore di chi lo merita. Oggi occorre tuttavia uscire a tutti i costi dal pantano, nel quale l’indecisionismo e la propensione per le mezze e/o pseudo misure ci hanno fatto affondare sino alle ginocchia. Due manovre in due mesi. La prima approvata a luglio con il lasciapassare delle opposizioni, quale segno di responsabilità verso il Paese (!). Una legge (111/11) – di conversione del dl 98 – della quale (ahinoi) i mercati e il sistema internazionale non si sono neppure accorti, perché dal contenuto meramente dilatorio. La seconda, quella in corso, partita con un dl (138/11) brandito con forza dal Governo all’indomani della diffida (riservata!) della Bce. Una manovra accompagnata – appena a distanza di un mese – da un proliferare di proposte migliorative: dal Pd, dall’Idv, dal Terzo polo, dalla fondazione Italiafutura, eccetera. Certo è che a ben leggere i comportamenti frequentati dalla maggioranza e dalle opposizioni emerge un segno di profonda sottovalutazione delle intelligenze, ma soprattutto del problema reale che incombe sul nostro Paese. Delle intelligenze. Di quelle dei cittadini, disposti a subire tutto, dopo essersi impegnati in acrobatiche manifestazioni di dissenso che – (ri)ahinoi! – durano solo pochi giorni. Quel dissenso forte che aveva portato a pretendere a gran voce dalla politica l’adozione di misure draconiane e ad accettarle anche sulla propria pelle. Pretese poi dissolte. Dribblate dalle rappresentanze elette (!), non disposte a rinunciare ai loro privilegi e alla sfacciata tutela delle clientele, cui fare sempre e comunque riferimento, perché garanti della loro sopravvivenza. Un discorso simile, è ovvio, non vale per i mercati e per il giudizio internazionale, primo fra tutti quello dei partner comunitari. Siffatti protagonisti non scherzano. I loro dicta mettono seriamente in pericolo i risparmi di tanti italiani, quelli azionari e quelli in titoli di Stato, che rischiano di fare la fine dei bond argentini. Lo ha dimostrato l’attacco planetario alla nostra economia, sferrato nell’agosto nero appena trascorso. Un’ economia rasa al suolo nella valorizzazione delle imprese che contano in una Borsa divenuta sempre più mendace. Divenuta quindi terreno fertile per le scalate. Non ultime quelle che potrebbe sferrare il capitale “mafioso” nei confronti di banche e dell’alta imprenditoria. Del problema reale. Obbligo di pareggio di bilancio entro il 2013, piuttosto che il 2014, come deciso nella manovra di luglio. Dunque – vista l’enormità del debito accumulato (1.901,9 Mld di euro) – non risulta più applicabile al nostro Paese il tradizionale parametro Ue di tolleranza nella misura del 3% rispetto al Pil. Quindi, obbligo di ripianamento del debito pubblico. Ovviamente da effettuarsi attraverso la realizzazione di avanzi primari, politiche di dismissioni e incremento della produttività. Questi i doveri istituzionali. Altra cosa sono state invece le misure adottate. Altre ancora le proposte di modifica e integrazione. Si spera tutt’altro sia il risultato cui perverrà la legge di riconversione del vigente decreto . In mezzo uno sciopero, per molti versi non condivisibile, attesa anche l’immagine pubblica da recuperare all’estero e non solo. A fronte di tutto questo, è venuta ad evidenziarsi una confusione dei ruoli. Ove il Governo ha perso il suo. Ovverosia quello di governare il timone. Per come sono andate le cose (ultimo summit ad Arcore, docet) non è riuscito a elaborare una manovra forte e credibile. Non si è resa garante del non deficit, tant’è che mancano al budget 5/10 miliardi di euro. Non ha dato l’incipit al percorso di ripianamento del debito pubblico. Ha promesso la solita legge per dimezzare i parlamentari e abrogare le province. Avrebbe fatto meglio a impegnare più di tre giorni e predisporre un progetto serio da portare avanti. Non facendo questo ha dimostrato due caratteristiche negative: l’assenza di un’idea complessiva di Stato, aderente alle istanze comunitarie e alle esigenze del mercato, e l’incapacità di praticare il suo ruolo istituzionale. Decidere per il presente e per il futuro assumendosene ogni responsabilità. Magari ricorrendo al voto di fiducia. Un suo diritto costituzionale, ma anche l’ultima spiaggia politica, dal momento che dal suo esito sarebbe dipesa la sua fortuna ovvero il suo definitivo declino. Ha così delegittimato il suo diritto ad esistere. Ricorrendo ai soliti aggiustamenti, ammiccamenti, occhi strizzati, consigli impropri da altrettanto impropri “testimoni”. Del tipo quelli (ahinoi, ancora in circolazione), ma non solo, tanto distratti da non accorgersi che qualcuno aveva provveduto a pagargli oltre il 65% della sua stupenda casa! Governare un Paese è tutt’altra cosa. Il ruolo delle opposizioni. Ne parliamo un’altra volta!

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