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di FRANCO CIMINO
A qualsiasi soluzione dovesse giungere la situazione italiana, la cosa certa è la fine del sogno berlusconiano. Non di Silvio Berlusconi, che il suo personale l’ha realizzato raggiungendo in soli diciassette anni una quantità di potere che nessun altro governante nei Paesi democratici ha mai ottenuto. Infatti, è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo, ha costruito un sistema massmediale tra i più potenti e moderni e una holding finanziaria tra le più robuste d’Europa. Ha inventato in ventiquattr’ore un partito che alla fine sarà vissuto almeno ventiquattro anni. E’ diventato presidente del Consiglio con la piena adesione degli italiani, si è divertito molto portando in piazza milioni di persone, a cui in ogni occasione assegnava una missione salvifica. Ha cambiato le regole anche senza scriverle, trasferendo a tutto il già fragile sistema politico una nuova cultura della rappresentanza di tipo personalistico e una concezione molto elastica delle istituzioni. Ha fatto dell’Italia un paese diverso da quello che è sempre stato, cucendogli addosso un abito nuovo e una forma istituzionale che non esiteremmo a chiamare, sia pure ridendoci un po’, Stato monarchico-repubblicano, nel quale a rappresentare la Costituzione formale restava, per l’impossibilità di sollevarlo, il presidente della Repubblica, mentre a rappresentare la Costituzione materiale v’era una sorta di principe. Un monarca investito dall’amore del popolo, con il quale, e solo con il quale, realizzava un rapporto esclusivo. Di vicinanza paterna e di distacco aristocratico, da cui ha fatto discendere tutte le licenze che solo un principe può concedersi. Nella vita pubblica (stabilire rapporti esclusivi, e fuori dalla diplomazia, con capi di governo e dittatori della peggiore specie) e nella vita privata, di cui è meglio in questa sede non riferire. Berlusconi più che guascone in talune sue espressioni, è stato un bambino. L’aspetto più emblematico di questa sua eterna condizione psicologica, non deriva solamente dal suo sentirsi irresponsabile, nel senso cioè di non portare alcuna responsabilità di ogni suo gesto, derubricata sempre, a prescindere dalle violazioni di legge, a categoria del si può o del “ma che male c’è”. Deriva specialmente da quel fenomeno apparentemente strano, giudicato spesso come gesto di volgarità, rappresentato dall’incessante acquisto di tante case. Delle quali si vantava mostrandole a tutto il mondo. Paradossalmente, nella vecchia Italia in cui tutti i ricchi possono permettersi lo yacht e il lusso dei grandi acquisti e la prudenza dei soldi in banca o nelle aziende, il Cavaliere segna la differenza con l’acquisto di case che altri non potrebbero comprare. Perché non può o perché non lo ritiene conveniente. Sono case grandissime, tutte hanno giardini e parchi immensi, guardano al mare o al lago o ai monti. Hanno una tipologia esclusiva e alcune una storia importante. Non ha badato a spese per acquistarle ed altre ne comprerà in futuro. Importante è che siano le più belle. E’ su questo esclusivo privilegio che ha segnato la differenza, proprio come fanno i bambini quando giocano a pallone. Prima della partita non conta chi gioca meglio ma chi porta le magliette più belle e il pallone. La psicologia infantile di Berlusconi, venuto dalla gavetta, si esprime in quello che è il sogno di chi non nasce ricco: la casa. Anzi, le case. Tante da regalarne ai genitori, ai fratelli e agli amici più cari. Esattamente come ha fatto lui, con quella generosità propria degli arrivati da un mondo lontano. Che poi, il suo spirito felino, la sua astuzia divampante, la sua ambizione sfrenata, lo abbiano portato a utilizzare finalisticamente questa sua fanciullezza, è un dato di fatto e un altro discorso. Quel che ci interessa oggi, all’atto della sua nuova uscita di scena, è questo suo modo di utilizzare le case come segno distintivo di una immodificabile differenza. Anche rispetto i capi di Stato stranieri. Si faccia attenzione a un elemento: il governo e lo Stato possiedono le migliori residenze e i migliori palazzi del mondo, tanto belli da mettere soggezione a principi veri e vere regine. Il presidente del Consiglio italiano, per la gran parte degli incontri ufficiali ha ricevuto i suoi ospiti nelle sue residenze private. E, per tornare alla politica interna, gli incontri di maggior rilievo li ha tenuti nel triangolo strategico Villa Macherio – Palazzo Grazioli – Villa Certosa. Specialmente, quando doveva persuadere qualcuno o acquistare uomini per lo scacchiere del suo potere, non soltanto parlamentare. Non occorrono stuoli di psicologi e analisti sociali per comprendere che questa sua ineguagliabile ospitalità – la stessa usata nei confronti delle ragazze nelle sere dell’ “igiene della mente” – conteneva quella sorta di pressione psicologica sulla voglia di incanto e di ammirazione che si radica nella fragile tendenza dell’essere umano. Ecco, come i bambini, Berlusconi usa tecniche così raffinate da garantirgli di partire in vantaggio negli incontri di qualsiasi portata. E spuntarla sempre con facilità. Tanto che la sua caduta è avvenuta in luoghi e in stanze lontani dalle sue residenze: quelli dei mercati e dei potentati europei, come ha sostenuto su queste colonne il direttore Matteo Cosenza. Ciò che finisce, pertanto, non è il sogno di Berlusconi che non si arrenderà troppo facilmente e altre rivincite sta già programmando. Finisce, invece, il sogno berlusconiano, regalato agli italiani da uno schermo televisivo diciassette anni fa. Il sogno di un nuovo miracolo economico e di un’Italia prima in Europa e tra le prime nel mondo. Il sogno che tutti gli italiani sarebbero potuti diventare come lui, ricchi e sicuri. Il sogno di una società senza classi, potendosi realizzare l’unica in cui non vi fossero più i proletari, i poveri, gli emarginati. Né i mantenuti dallo Stato, poiché la nuova società della creatività e delle famose tre “i” (impresa, Internet, inglese) avrebbe costruito una larga ricchezza che avrebbe reso inutile il ruolo di uno Stato rapinatore, ingerente, impiccione. L’Italia di oggi è un’Italia triste, frustrata, addolorata, confusa. Mai come oggi si riflette nella decadenza del suo leader e in quel suo viso indurito da rabbia e delusione dinanzi allo schermo luminoso della Camera che segnava il fatidico numero 308. E’ un’Italia sconfitta, quella che ci lascia Berlusconi. Sconfitta non da quel sogno irrealizzato e nel quale ha ingenuamente per lungo tempo creduto. L’Italia di oggi è divisa in due classi. Una molto grande, quella dei poveri e dei senza futuro e l’altra piccolissima, visibile, dei ricchi e dei potenti, che si stanno battendo come leoni per salvare questa Italia. E non per aiutare i poveri, ma per difendere se stessi e la propria ricchezza. Paradossalmente, questa volta, se l’Italia affonda a rimetterci saranno soprattutto loro. I poveri, ormai non hanno più nulla da perdere, salvo la dignità, la speranza e il coraggio di ribellarsi. Di colpo quel sogno è svanito perché non è mai stato tale. Soltanto un’illusione o un inganno, venduto come merce buona dalle sette reti televisive nelle mani del magnate di Arcore. Divenuto principe d’Italia per volere degli italiani.

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