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di DEMETRIO NACCARI CARLIZZI*
Qualche giorno fa un amico conversando amabilmente mi chiedeva un’opinione per quanto possibile terza sulla situazione economica italiana. Mi chiedeva in particolare se tutto ciò che accade oggi era prevedibile e se fosse conseguenza di una negligenza dei governi. Questa domanda suona retorica per gli addetti ai lavori che lamentano da anni un’assenza di politica economica e di governo del debito pubblico ma è una domanda legittima per tutti coloro che in questi anni hanno ascoltato dichiarazioni rassicuranti o addirittura rivendicazioni da primo della classe da parte di Tremonti che aveva convinto molti della bontà della sua politica definendola di rigore, un aggettivo che oggi suona sarcastico e fuori luogo se non fosse messo in rapporto all’assoluta irresponsabilità dei suoi colleghi di maggioranza. Sarebbe sufficiente ma tranciante iniziare riportando solo il giudizio che Nouriel Roubini, autorevole economista che insegna alla New York University ed è stato il primo a prevedere la crisi mondiale, ha dato della credibilità del nostro governo e che riecheggiava in una interessante riflessione su il Quotidiano di qualche giorno fa, suonava più o meno così: “.cambiate governo..in Italia c’è un buffone”. In effetti molti economisti si erano espressi tratteggiando un quadro complicato e rischioso per il nostro Paese ma non erano mancate valutazioni istituzionali come quella della Corte dei Conti che mesi addietro analizzando la legge di Stabilità aveva scoperto che mancavano di fatto quasi 50 miliardi di euro per rispettare i saldi annunciati. Non occorre qui riportare tutti gli indicatori e le statistiche che disegnano un rischio di rapido declino per il nostro Paese ma è necessario ragionare su alcuni dati che si offrono alla valutazione di tutti. Prendiamo a prestito la domanda che Jacques Attali si pone in un suo saggio sul debito pubblico dove prevedeva con largo anticipo la crisi del debito pubblico italiano (e non solo italiano!) “.investireste in un’impresa il cui debito rappresenta 5 anni di fatturato e le cui perdite annuali sono pari a un quinto del fatturato? Fuggireste, ma questa è la situazione dell’Italia di oggi.”. L’Italia ha infatti un debito pubblico che rappresenta il 119% del prodotto interno lordo (era il 57,7 nel 1980) e purtroppo non cresce e quando cresce non lo fa abbastanza. Neppure il tanto decantato Nord. Addirittura la Padania, terra di sospiri e sogni del leader di riferimento del governo e della Trota suo coltissimo delfino, negli ultimi dieci anni è cresciuta meno della media dei paesi dell’eurozona. Siamo all’interno dell’Ocse la nazione che ha la maggiore incidenza della spesa pensionistica rispetto alle entrate fiscali e la dinamica demografica segna da vent’anni un percorso di invecchiamento preoccupante. Chiaramente la risposta della nostra politica è stata quella di accanirsi contro l’immigrazione che attraverso i processi di “replacement migration” poteva contribuire a compensare tale invecchiamento. Purtroppo però ormai persino gli immigrati ci vedono solo come un Paese di transito verso le loro speranze di lavoro. A fronte di questo il nostro governo ha messo in campo tre manovre in meno di due mesi. Chiaramente ci viene detto ogni volta che la manovra di turno ha avuto i complimenti dei partner europei! Sorge quasi il dubbio che in Europa abbiano smesso di prenderci in giro e abbiano iniziato a ritenerci senza speranze! D’altra parte siamo passati dal credo “meno tasse per tutti” a una manovra correttiva che si fonda al 75% su aumenti delle tasse (vedi Tito Boeri su lavoce.info). Il problema è quindi così riassumibile: nessuna nazione può sopravvivere se deve finanziare un debito pubblico elevato ma non cresce abbastanza e deve nel contempo pagare pensioni congrue se non ci sono giovani che lavorino e le aspettative di vita si allungano come per fortuna accade. La manovra di correzione dei conti pubblici non poteva che arrivare nel momento peggiore. Oggi paghiamo alcuni errori che sono ormai palesi. Avere fatto finta di nulla e non avere fatto nulla in questi anni accusando chi come Mario Monti proponeva un percorso responsabile di scelte di governo di voler costruire a tutti i costi le ragioni di un governo tecnico. Purtroppo a noi sarebbe bastato un semplice governo capace di leggere le evidenze. Se quindi i governi di questi anni non hanno lavorato per la crescita economica e la competitività del Paese oggi nemmeno propongono credibilmente il necessario programma di revisione e riduzione della spesa pubblica. Alcuni erano convinti di salvarsi con il solito lascito avvelenato alle successive generazioni ma purtroppo i conti non tornano già adesso. Angelino è abbronzato e non si capacita come i mercati finanziari non si facciano i fatti propri e vogliano dare giudizi sui governi. Questa considerazione declamata a gran voce nel discorso in Aula sulla penultima manovra la dice lunga sulla capacità di ravvedimento e di previsione di chi ci dovrebbe governare. Serve competenza, responsabilità e coraggio per una revisione completa della spesa pubblica orientata alla crescita e all’equità, due valori che sono scomparsi da tempo dall’agenda politica italiana. Al mio amico preoccupato sulla crisi avevo risposto con una battuta: la manovra non ha una logica né paternità, stiamo attendendo la solita trovata di Berlusconi, speriamo che non voglia risolvere il problema dell’invecchiamento alla sua maniera: italiani fate più sesso e chiudiamo gli ospedali!!! Come italiani meritiamo qualcosa di più del primato delle barzellette.
*Dipartimento economico Pd nazionale

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