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di FRANCO CIMINO
Aveva novantatré anni, e sulle spalle di chi viene da molto lontano rispetto alle fatiche compiute, alle durezze della civiltà in evoluzione, alle sofferenze di un progresso arrestato dalla guerra e all’angoscia, anche morale, provocata dal nazi-fascismo, sembrano davvero tantissimi. Ma in Oscar Luigi Scalfaro non lasciavano presagire la fine, neppure alla vista delle ultime immagini del suo corpo colpito dal tempo e dalle malattie. Neanche la parola, quasi afasica e debolmente trascinata, lasciava pensare che ci avrebbe lasciati presto. Uomini come lui si spera sempre non debbano andarsene mai. Come quei cari, tanto amati, che preferiresti averli sempre accanto, nonostante la disabilità. Perché la loro parola e la loro presenza sono motivo di conforto nelle avversità, di ammonimento nella pigrizia e nell’errore, di sprone nella ricerca del domani. Per questo la sua uscita di scena coglie il Paese quasi di sorpresa. E lo smarrimento, in un momento così delicato per le sorti dell’Italia,si fa dolore e disorientamento. Tuttavia, le sue parole e i suoi esempi di vita restano come anelli nelle pareti rocciose, cui aggrapparsi durante le tempeste di vento. Infatti la grandezza di Oscar Luigi Scalfaro si trova nelle parole, più che nella sua folgorante carriera, che da giovanissimo magistrato lo portò alla presidenza della Repubblica.Quelle dette in innumerevoli occasioni. E nella parola, quale forza straordinaria che, dallo spirito, intensamente proiettato nella Fede e dalla mente, robusta d’intelligenza e cultura, si trasformava in arte. Della retorica, ciceroniana se vogliamo. E della persuasione profonda, cristiana preferibilmente. Quella che coglie lì, in quel punto nascosto della persona, dove il cuore s’apre all’ascolto e l’emozione alla comprensione che si distende nel consenso. Il parlare di Scalfaro non era ridondante o evanescente. La sua parola aulica era sobria, asciutta, elegante. Emozionava perché portava a ragionare. A prendere coscienza. Non soltanto del fatto, ma della intima capacità di ciascun individuo di poterlo piegare al Bene. Sì, perché per il cattolico impegnato in politica fin da giovanissimo, dietro il male c’è il bene. Basta cercarlo. Basta volerlo. Come nei percorsi di fede, che egli seppe, con rara capacità, unirli al suo impegno politico, per poi distinguerli, con straordinaria vocazione laica, dalla politica e dalle istituzioni. Il Bene era rappresentato dalla Giustizia. Per applicarla, con onestà ed equanimità, e costruirla nel divenire della società. Per questa sete di giustizia, studiò legge e divenne magistrato, attraverso quella toga che “non mi sono tolto mai, perché il magistrato- sono sue parole – la toga la porta nel cuore. Per sempre”. Questa sete di giustizia lo portò alla politica quando, dall’assemblea costituente in poi, fu chiamato a rendere l’alto servizio ad un Paese che andava ricostruito dalle fondamenta. Morali prima che materiali. Da leggere con attenzione sono i suoi scritti e i suoi primi discorsi nella fase preparatoria della Carta Fondamentale, alla quale, benché giovanissimo, seppe dare un contributo straordinario,al pari di quei cattolici illuminati – da De Gasperi a La Pira, da Moro a Piccioni – che diedero linfa morale allo spirito di nazione di un Paese prostrato dalla guerra e umiliato dalla dittatura fascista. Per lui, come per tutti i cattolici in politica, il fondamento della Giustizia è la Libertà. Di più, la giustizia intesa come strumento a tutela della libertà e come forma della democrazia, che libertà accoglie, vivifica, costituzionalizza. A favore della persona, centro e motore dell’agire umano, mezzo e fine del progresso sociale, custode esclusivo della libertà e dei diritti con cui essa si esercita nel dovere di farla rispettare. La libertà e la persona erano per Scalfaro progetto della politica e disegno di Dio. Erano il punto esatto nel quale tutti gli esseri umani potessero incontrarsi, superando le ideologie e le divisioni religiose, per costruire una società giusta, e quindi democratica. Per queste intime convinzioni, rafforzate dalla scuola di La Pira e di De Gasperi, egli non fu mai uomo di rottura e di divisioni ideologiche. Neppure quando, per ragioni storiche ormai note, lo scontro tra Partito Comunista e Democrazia Cristiana, il suo partito di sempre, si fece molto acceso. E neppure quando la sua vicinanza a Mario Scelba, il nemico giurato dei comunisti degli anni ’60, lo etichettò politico di destra. Scalfaro non fu mai anticomunista, come negli anni recenti, secondo un malinteso trasformismo che alcuni maliziosi gli attribuirono, non fu di sinistra, per la semplice ragione che non fu mai contro qualcuno o qualcosa. Sapeva distinguere l’ideologia sbagliata da i militanti che sbagliavano nel sostenerla. Il comunismo era un male, come lo fu il fascismo, non i comunisti italiani o i camerati, con cui seppe dialogare anche nell’asprezza di certa polemica politica. Tutto ciò, invece, che era contro la libertà e minava le fondamenta della democrazia, era contro l’uomo. E come tale andava combattuto. Ma non demolendo gli avversari. Al contrario, persuadendoli dell’errore per indurli a cambiare. A “convertirsi”, se vogliamo strumentalmente utilizzare per lui un termine di fede. In quanto essere umano, anche Scalfaro ha compiuto errori e consumato contraddizioni, non lievi e non pochi. Ma la sua bussola d’orientamento è sempre stata la persona e la libertà, che difese sempre in ogni suo ruolo istituzionale e politico. Giustizia e persona, ovvero giustizia a fondamento della persona, presupponevano il diritto alla Pace. Anche qui, ispirato da Giorgio La Pira ed educato da De Gasperi, lavorò, da semplice deputato prima e da statista dopo, per la pace nel mondo. Memorabili sono i suoi brevi discorsi sulla pace, che qui non richiamo. E non solo per brevità di spazio, ma perché ciascuna frase in essi contenuta è una poesia. Consiglio tutti di andarli a leggere e qualche volenteroso di pubblicarli. La pace nasceva dal diritto alla libertà, così come il progresso dal diritto di ciascun popolo ad avere una patria e una terra da far fruttificare. La pace nasceva anche dal rifiuto personale della violenza e dalla volontà, anche individuale, di debellarla ovunque si annidasse. A partire dal nostro cuore, sono sempre le sue parole che parlano. Un giorno lo ricordo bene: era la fine d’agosto del 1989, in un Consiglio Nazionale della DC. Due giorni prima Lodovico Ligato, esponente della Democrazia Cristiana, venne assassinato davanti alla sua casa di Reggio Calabria. Nessuno osava parlare di quel fatto. Nessuno pronunciava quel nome. La riunione andava avanti come se nulla fosse accaduto. Scalfaro, d’istinto andò al microfono e testualmente disse: “Vico Ligato non è morto per un raffreddore e non dobbiamo dimenticare che è nostro, specialmente oggi”. C’era tutto in quelle parole: il cattolico, il democratico, il giurista, il politico. E il democristiano, che in quanto tale sentiva un dovere in più rispetto agli altri. Anche per i sentimenti profondi che animavano l’azione politica. C’era l’uomo onesto e responsabile, che sollecitava onestà e responsabilità in tutti. E lo stesso uomo lo troviamo nelle parole pronunciate, in diretta televisiva, da presidente della Repubblica, nel lontano 1993, con quel “non ci sto” che ancora risuona nei nostri orecchi. Non era la reazione rabbiosa ad un sospetto sull’utilizzo dei fondi segreti del Ministero dell’Interno, quando lui ne era a capo, ma la difesa dell’alta Istituzione che in quel momento sentiva minacciata da chi voleva, delle istituzioni, farne armi di guerra per il potere. E, infine, le sue ultime parole pubbliche ai giovani del PD. Si sentivano appena. Non erano affannate o affannose. Sembravano sospirate. Probabilmente ispirate, per meglio parlare al cuore dei giovani, la sua passione e la sua ancora nel futuro. Anche, forse, la memoria a custodia delle sue ultime parole. “Contro le patologie della società bisogna essere spietati. Siate onesti. Difendete la libertà. Non arrendetevi mai. Non arrendetevi mai”. Questo è il testamento che lascia al Paese, insieme alla fede nella libertà, quest’uomo burbero e dal sorriso buono. Rigoroso e intransigente. Quest’uomo che ha sempre tenuto in mano, rappresentandoli con la propria vita, i due libri più sacri: la Bibbia e la Costituzione.

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