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di GIOVAMBATTISTA PAOLA
Entro in questa discussione su Aspra Calabria in punta di piedi. Senza nessuna pretesa. Anche perchè, il “male oscuro” della Calabria non è stato certo schiarito dal dibattito in corso. Oscuro era e oscuro è rimasto. Il punto vero da cui partire è l’interrogativo proposto da Massimo Veltri sulla rinchiusura a riccio che caratterizza una parte della cultura calabrese non appena qualcuno azzardi a dare una lettura fuori dal coro dei processi che interessano grandi aree del Mezzogiorno a partire dalla Calabria. L’alzata di scudi registratasi rischia di fornire una chiave di lettura giustificazionista del ritardo storico di questa regione. Si ricorre all’antropologia, alla storia, all’Unità d’Italia, ai Borboni, perfino alla letteratura meridionalista nell’affannosa ricerca di alibi che possono giustificare il forte divario di sviluppo accumulatosi tra le due grandi aree del Paese. Come nel processo penale dieci indizi non fanno una prova, nei processi storici dieci alibi non fanno una certezza. La Calabria andrebbe prima capita. Poi spiegata. Senza ricorrere a questa forma di “leghismo culturale” obsoleto. Senza vittimismo. Senza rassegnazione. Uscendo da questo limbo di marginalità culturale. Dagli opportunismi. Sempre in agguato. Sulle “disgrazie” della Calabria e del Mezzogiorno molti hanno costruito le proprie fortune letterarie, politiche, economiche. Bocca, invece, checchè se ne dica, non né aveva certo bisogno. La Calabria deve uscire intanto dal tunnel dell’ipocrisia e dei luoghi comuni. Deve uscire dalle sabbie mobile dell’analisi stereotipate. Sono almeno vent’anni, ad esempio, che ad ogni manovra economica del Governo centrale, si accompagna il ritornello che essa avrà effetti destabilizzanti in Calabria. Come si vede, non solo in Calabria non si è mai destabilizzato nulla, ma si è perfino finito per consolidare e rafforzare un sistema di potere malato e corrotto. Se la Calabria e il Mezzogiorno non sono stati storicamente all’altezza di esprimere una classe dirigente attrezzata, colta, capace di reggere la sfida della modernità, la responsabilità è forse di Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari? Se l’istinto all’autoconservazione in Calabria è così forte e l’etica della responsabilità così debole la responsabilità di chi è? E se i peggiori nemici della Calabria fossero proprio i calabresi? E, ancora, la cultura calabrese ha la coscienza a posto rispetto a questo scenario? O, forse, è vero, come amava ripetere un grande statista, che la Calabria consuma più storia di quella che produce? La profondità delle analisi dovrebbero quanto meno servire a sciogliere questi interrogativi di fondo che aleggiano come macigni sul futuro di questa regione. Come dicevano i latini: “dubium sapentiae initum”. (Il dubbio è l’inizio della conoscenza). Problematizzare la complessità della questione Mezzogiorno aiuta a capire le contraddizioni e le debolezze di una società che ha conosciuto la modernità ma non lo sviluppo. Aiuta a capire che nella “società delle conoscenza” il “male oscuro” rappresenta solo una diagnosi. Efficace. Maledettamente vera. Non un problema, quindi. Ma uno stimolo. In più.

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