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di ANTONELLA DODARO
Caro Matteo, mi ha colpito molto il tuo editoriale su Giuseppina, Maria Concetta e Lea per la verità e lapalissianità del concetto che in esso hai magistralmente condensato: alcuni sacrifici non possono e non devono essere dimenticati; la responsabilità di questi sacrifici appartiene a tutti noi indistintamente: bisogna stare dalla parte dei più deboli. Eppure c’era qualcosa, dopo aver letto il tuo fondo, che mi lasciava ancora un po’ perplessa, insoddisfatta e arrabbiata. Ho seguito il susseguirsi degli interventi finché ho letto quello dell’avvocato Calabretta che parla di Paola e della sua attuale sofferenza e paura ed ho finalmente capito la genesi di quella perplessità, insoddisfazione e rabbia: certamente Maria Concetta e Lea non devono essere dimenticate al pari di Giuseppina, ma Paola esiste, resiste e grida aiuto. E’ qui, è tra noi e ancora possiamo fare qualcosa affinché un giorno le foto sulla mimosa dell’8 marzo non debbano diventare 4 e poi 5 e poi 6. Provo a dare un ordine alle emozioni – più che ai pensieri – per cercare di essere meno retorica e un po’ più concreta. Io la ‘ndrangheta, la violenza e il male della criminalità li ho vissuti al contrario: mi hanno strappato mio padre quand’ero adolescente e hanno stravolto la mia famiglia e diverse altre esistenze. Lo piango ancora, mio padre, e non finirà mai di mancarmi. Ma mi accorgo che la sofferenza maggiore, oggi, la provo per chi è rimasto, per chi ancora lotta (perché può farlo in quanto vivo), per chi ancora crede di poter migliorare le cose e lottando, spesso, continua a pagarne le conseguenze. Soffro e combatto ogni volta che devo, ogni volta che posso, per rispettare quelle regole di normalità che, in un tuo altro magistrale commento, hai indicato come l’unica strada per realizzare una “rivoluzione ordinaria” che ci permetterà di vivere meglio insieme agli altri e darci dignità e orgoglio. C’è una persona nella mia vita a cui devo dire grazie se non mi sono nutrita d’odio nella mia adolescenza ed oggi sono una persona che, nonostante tutto, pensa positivo e dedica tutta se stessa in una causa “a costruire” e non a distruggere. Questa persona è una donna: è mia madre. Ecco allora il senso di queste sparse emozioni che provo a tradurre in riflessioni: sono proprio le donne possono fare molto; comunque, dovunque. Sono madri. Sono compagne e spose. Sono amiche e lavoratrici. E sono portatrici di grandi valori perché generano la vita. E per onorare questi valori, spesso, sono disposte ad arrivare alle conseguenze più estreme. E’ civile, giusto, necessario che le Istituzioni ci siano e tutelino i diritti di donne e uomini; dei più deboli e di coloro che hanno più bisogno. Non dovrebbe neanche essere necessario chiederlo o affermarlo. Ma se non ci fossero madri e donne capaci di trasmettere valori e diffondere la cultura dell’amore, dell’accoglienza, del perdono e della legalità non riusciremmo comunque a cambiare il mondo e dare un futuro migliore alle prossime generazioni, indipendentemente dalle Istituzioni. Quindi la prima responsabilità perché il nostro mondo migliori è di ciascuno di noi. Soprattutto delle donne. Mentre provo a immaginare quale straziante dolore e paura possano avere indotto donne come Lea, Concetta, a deporre le armi, a rinunciare al dono più grande che ci è dato – la vita – riprometto a me stessa che le mie energie saranno indirizzate verso tutte le Paola che ancora vivono, combattono, non si sono arrese e attendono un segnale, un aiuto: il nostro civile e umano sostegno. Non conosco Paola. Non credo che la conoscerò e che potrò concretamente aiutarla. Ma conosco e incontro tante donne e uomini in difficoltà a cui posso, forse, umilmente, dare un contributo, un aiuto. Fosse anche solo una parola, un sorriso, una speranza, la certezza di prendere a cuore la loro causa, di non essere indifferente. A volte, forse, quel mio “contributo” sarà anche quello di contestare e combattere contro regole che invece di migliorare la convivenza civile la complicano e le rendono di fatto contrarie al loro spirito. Ma lo farò in trasparenza, mettendoci la faccia e tutta me stessa. Ecco, in quel momento, credo, avrò onorato il sacrificio e l’esempio di Lea, Concetta e Giuseppina. E l’invito che rivolgo ad ogni donna è proprio quello di non abiurare mai a trasmettere ai propri figli, amanti, sposi, amici, colleghi, la cultura dell’amore, del perdono, dell’accoglienza e del rispetto della libertà d’espressione della vita e degli esseri umani; di insegnare che il potere va usato per costruire e mai per distruggere. P.S. “Per tutte le malvagità del mondo io concedo il perdono… io mi impegno ad amare al di sopra di ogni disamore/A donare anche se spogliata di tutto/A lavorare con gioia anche fra mille impedimenti. A credere pur essendo screditata” (P. Coelho): dedicata a tutte le Lea, Maria Concetta, Giuseppina e Paola.

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