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La ‘ndrangheta non è solo arresti, manovalanza ma nasconde un volto nascosto e insidioso detto zona grigia, cono d’ombra, borghesia mafiosa. Una zona sempre più ampia rispetto alla quale non sempre la nostra società civile ha i giusti anticorpi. Questo il tema al centro del dibattito all’aula Caldora dell’Unical nel corso del quale il direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza (a destra), ha intervistato Giuseppe Pignatone (a sinistra), procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, forse ad una delle ultime apparizioni pubbliche in questa veste.
Per quanto riguarda la lotta alla ‘ndrangheta, Pignatone ha fornito ai partecipanti un’immagine significativa: «E’ come se fosse in corso una partita di calcio fra Stato e Antistato; – ha detto – ci sono quelli che fanno il tifo attivo. Imprenditori, intellettuali, cittadini e giornali che aiutano lo Stato. Poi ci sono anche imprenditori, intellettuali, cittadini e giornali che supportano l’antistato». Secondo il procuratore reggino, purtroppo la stragrande maggioranza della società civile sta sulle gradinate, a guardare in attesa del risultato finale. E alla domanda se c’è la speranza di un risveglio di coscienze anche in Calabria, Pignatone risponde convinto di sì: «Quello che è successo a Palermo non è paragonabile a quanto accade in Calabria. In Sicilia – ha ricordato – siamo arrivati al punto attuale dopo uno sforzo durato 25 anni. Ci sono stati i maxiprocessi, ci sono state le stragi in cui sono morti moltissimi innocenti. Tutte queste circostanze hanno dato una nuova linfa a movimenti che già pre-esistevano, ma che sono sbocciati in seguito, per cui è potuto nascere un fenomeno come Ivan Lo Bello, ad esempio. In Calabria lo Stato sta facendo uno sforzo notevole. Certo anche a Reggio Calabria esistono dei problemi di organico nella magistratura, ma vorrei sottolineare la qualità dei professionisti inviati qui».
Ognuno dunque, è chiamato a fare la sua parte e Pignatone dopo aver lodato il lavoro di investigatori e magistratura giudicante, ha ribadito l’importanza dei collaboratori di giustizia, perché consentono agli inquirenti di cogliere il ragionamento mafioso e perché dimostrano, al di là delle rivelazioni, che cambiare si può. Ma il vero filo conduttore della discussione è quello della zona grigia. Pignatone cita due casi esemplificativi che rendono l’idea di quanto sia ampio il cono d’ombra. Il primo sono le elezioni che si svolsero a Marina di Gioiosa Jonica. In campo c’erano due liste che facevano praticamente capo alle due famiglie mafiose. Dalle intercettazioni è venuto fuori che le etichette politiche c’entravano poco o nulla. Dai discorsi intercettati, risultò evidente che il problema era che se vinceva X gli appalti, la gestione di risorse, i servizi sarebbero finiti ad una serie di ditte; se vinceva Y questo fiume di denaro sarebbe andato ad un’altra serie di ditte.
Ma il caso più clamoroso è forse la controversa figura di Giovanni Zumbo, commercialista reggino, proveniente da un’ottima famiglia della città, a cui lo Stato aveva anche affidato la gestione di beni sequestrati ai mafiosi e con agganci in apparati dello Stato. La classica persona al di sopra di ogni sospetto. Nel corso delle indagini, però, si è scoperto che Zumbo approfittava dei contatti con gli apparati dello Stato per passare al boss notizie su blitz e arresti e che soprattutto per dieci anni ha fatto da prestanome ad un noto boss reggino, per conto del quale deteneva quote della Multiservizi società mista del Comune di Reggio Calabria. «Controllare questa società – ha detto Pignatone – significava controllo sulle strade, accesso agli uffici comunali, a quelli della Procura, distribuire posti di lavoro».
Pignatone sa che toccare la zona grigia è pericoloso, e che spesso le inchieste sono accompagnate dalle polemiche, ma non se ne cura perché a lui interessano solo i processi. E’ sicuramente difficile sorprendere un colletto bianco che commette un reato perchè le loro condotte sono lecite finchè non diventano penali e finalizzate a favorire un’organizzazione criminale. Arrivare al secondo livello, quindi, come pure si è fatto a Reggio, significa avere in mano prove che possono reggere in dibattimento. Alla domanda sulla massoneria e il suo ruolo nella ‘ndrangheta, Pignatone dice che in diverse indagini sono emersi soggetti iscritti a logge, ma questo è un dato giuridicamente neutro. Quel che è certo è che le indagini «non si fanno per finire sui giornali, ma per arrivare a condanne nel processo».

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