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di Nino D’Agostino

Il PD lucano continua ad interrogarsi per tracciare una linea di uscita dalla crisi che caratterizza la Basilicata.
Lo ha fatto di recente a Melfi, chiamando a raccolta i suoi quadri dirigenti locali in un confronto con l’establishment regionale.
Il segretario regionale, Roberto Speranza (in foto), ha ribadito i concetti essenziali, illustrati nel seminario di base, svoltosi a Rifreddo, tra i quali ne vanno rimarcati per importanza soprattutto due: il primo,“alzare l’asticella” ( che è ormai diventato l’efficace brand politico-comunicativo di Speranza) della qualità della politica regionale che, tradotta in soldoni, significa costruire il consenso sui risultati di politiche di sviluppo e non sulla organizzazione di clientele elettorali, il secondo, riconoscere la realtà per quella che è, fatta, cioè, di luci (poche) e di ombre (molte) che non attengono soltanto alla politica, ma investono in profondità l’intera società regionale e quindi le imprese, i sindacati, la scuola, l’università, i singoli individui, tutti attori che vivono in un contesto ambientale non certo favorevole (territorio profondamente dissestato, con i comuni che viaggiano, come diceva Nitti, e con aree di pianura che non ne coprono il 10%, circondate, peraltro, da montagne “racchie”).
Sembrano concetti astratti, ma non lo sono.
Prendere coscienza autocritica del nostro passato e nostro presente è indispensabile per costruire un futuro diverso.
Fare in modo che il consenso dipenda da cittadini che aspirino a dare il meglio di sé, che non ricerchino protezioni e scorciatoie e dunque dipendenze improprie dalla politica rappresenta una rivoluzione copernicana.
Questo modo di concepire il rapporto tra politica e società implica l’adozione di vincoli formali ed informali di regolazione della vita sociale che mettano il singolo individuo nella condizione di essere effettivamente cittadino e non più cliente.
Mi piace leggere dietro a questo concetto l’idea di voler lavorare per costruire una società più aperta, meno “legnosa”, nella quale a ciascuno venga chiesto di fare la propria parte, di assumersi le proprie responsabilità.
Credo che ci sia molto bisogno di idee del genere per costruire un nuovo meridionalismo, basato soprattutto sulla voglia di fare da sé della società meridionale, accantonando rivendicazioni e pretese di trasferimenti statali, da gestire con logiche di prevalente tutela di interessi particolari.
La “storica ingiustizia”, come chiamava Aldo Moro la “questione meridionale” la si supera, agendo sui fattori culturali e dunque sull’insieme delle abitudini, comportamenti conoscenze di una comunità, disciplinate da istituzioni, intese sia come sistema di relazione sociale e sia come apparati amministrativi, capaci di esprimere circuiti virtuosi di natura solidale, nel campo economico e più in generale nella vita democratica.
La politica ha un ruolo decisivo in questa ottica, la sua pervasività attuale non la si può certo collocare in tale direzione. Dedica molte sue energie nella difesa di una borghesia professionale e produttiva incapace di apportare elementi di modernità nella società regionale.
L’impressione che ho ricavato, partecipando ai diversi seminari di studio suddetti ed a molteplici incontri con dirigenti del Pd è che finalmente essi stiano uscendo dalla caverna di Platone, ossia stiano volgendo lo sguardo verso la realtà che è fuori della caverna, avendo compreso che le ombre proiettate verso il muro più interno falsano gli elementi di base su cui innestare azioni di crescita civile ed economica.
Per la verità, non tutti i politici-cavernicoli si stanno appropinquando verso l’uscita della caverna, molti rimangono negli anfratti più bui della caverna, continuando a vantare supremazie culturali, politiche, imprenditoriali e sociali pressocchè inesistenti.
Per crescere dobbiamo elevare la qualità del capitale umano e di quello sociale: perdiamo con l’emigrazione parte del primo e rimaniamo deboli sul secondo.
Dietro le variabili economiche ( il reddito, gli investimenti, i consumi) c’è gente in carne ed ossa che le determina: la questione dunque è comprendere da quale cultura essa è caratterizzata.
“vi sono due Italie, faceva rilevare Giustino Fortunato (con ciò mettendo le basi della questione meridionale), (…) non solo economicamente diseguali, ma moralmente diverse:questo è il vero ostacolo alla formazione di una sicura compagine”.
I grandi meridionalisti (Fortunato, Nitti, Salvemini) individuavano tra le cause del dualismo nord-sud le diversità culturali esistenti tra i due ambiti territoriali, molto prima delle analisi sociologiche di Banfield sul familismo amorale che sottende la mancanza di fiducia tra individui non legati da vincoli di parentela.
Porre al centro della prospettiva socio-economica, come ha fatto Speranza e come ha rafforzato De Filippo, la revisione delle istituzioni che regolano le relazioni tra politica e società, chiamando a responsabilità tutti gli attori sociali, nell’ottica suggerita da F. Braudel, secondo cui in ogni situazione, virtuosa o perversa che sia , c’è sempre una “complicità” dei soggetti in campo, mi sembra un passo notevole nella direzione prima accennata.
“Restituire una cittadinanza piena-come avverte R. D.Putnam-agli individui, rendendo l’esercizio dei propri diritti così facile da scoraggiare che finora ha chiesto privilegi” è compito difficilissimo, richiede un work in progress di chiaro stampo riformista. Abbandonare al proprio destino i cavernicoli ed i loro sodali che si annidano nell’economia e nella società non è operazione indolore, significa mettere in discussione equilibri politici consolidati, introdurre nuovi criteri di selezione della classe dirigente.
Comporta, tra l’altro, l’esistenza di minoranze sociali sensibili e pronte a supportare i politici che vogliano uscire dalla palude del sottosviluppo, consapevoli delle grandi opportunità di crescita presenti in Basilicata.
La possibilità della svolta si gioca su queste variabili. È difficile dire che cosa potrà succedere nel prossimo futuro. Una cosa è certa: senza cambiamenti, si spalancherà la strada del declino della regione, con i prevedibili effetti istituzionali, identitari ed economici.

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