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CROTONE – «Dal carcere di Siano di Catanzaro comunicavano con l’esterno. Io, per esempio, ho parlato tante volte con i miei familiari». Lo ha detto, deponendo in videconferenza, collegato da un sito protetto, il collaboratore di giustizia Vincenzo Marino, nel corso di un’udienza del processo Icaro, scaturito da un’operazione di oltre dieci anni fa che inflisse un duro colpo alla cosca Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. Marino, incalzato dal pm Antimafia Pierpaolo Bruni ma anche dall’avvocato difensore Carlo Petitto, ha fatto riferimento al «terzo piano» dell’istituto di detenzione, una cui finestra «affaccia su una strada. Le mura del carcere – ha aggiunto il pentito – sono adiacenti all’officina di un meccanico». Marino, sia nelle ore pomeridiane che di mattina, a suo dire, comunicava, ad alta voce, anche con appartenenti alla famiglia intesa in senso criminale. Il pentito, come è noto, si autoaccusa di aver fatto parte della cosca Vrenna Bonaventura Corigliano di Crotone. Non è però entrato nel merito di segreti veicolati dal carcere agli affiliati, limitandosi a precisare, su domanda dell’avvocato Petitto, che aveva chiesto ai suoi familiari di passare sotto quella finestra, quando andavano a fargli visita, per avvertirlo che stavano arrivando per il colloquio. «Così io iniziavo a farmi la doccia». Ma l’udienza di ieri, dal punto di vista processuale, è stata utile soprattutto per rispolverare le conoscenze del pentito in materia di ‘ndrangheta isolitana. In particolare, Marino ha svelato di aver appreso da alcuni componenti della famiglia Nicoscia che Paolo Lentini, ritenuto elemento di spicco della cosca Arena, un tempo dominante a Isola ma successivamente entrata in guerra con gli stessi Nicoscia, è «vivo per due minuti». Tutto era pronto per tendergli un agguato mentre entrava in un bar «ma poi arrivò una volante». E il piano di morte saltò.

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