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CROTONE – Perché il pentito Luigi Bonaventura ha svelato la località protetta in cui si trova finendo col diventare un bersaglio mobile nell’apparentemente tranquilla cittadina di Termoli? Per «tutelarsi». Poiché «dopo due mesi e mezzo dalla denuncia fatta alla magistratura (Dda di Catanzaro) di tutte le notizie che lo stesso Bonaventura aveva appreso a Termoli, nessun provvedimento venne adottato dalla Commissione centrale di protezione». Per questo l’ex reggente della cosca Vrenna Corigliano Bonaventura ha presentato un ricorso al Tar del Lazio chiedendo l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del provvedimento con cui lo scorso 11 luglio la Commissione centrale invitava il collaboratore di giustizia a «dare immediato corso al trasferimento in altra località protetta, disposto per motivi di sicurezza, con espressa avvertenza che eventuali comportamenti inerti o contrastanti potranno essere valutati ai fini della modifica o della revoca del programma di protezione». Ma perché Bonaventura non intende spostarsi? Nel ricorso predisposto dagli avvocati Giulio Calabretta e Francesco Marasco si rileva che «il collaboratore ha disvelato la località in cui vive nel momento in cui ha compreso che la sua posizione e status erano già da tempo stati violati proprio da chi doveva garantirli». E comincia un excursus fatto di intimidazioni e abboccamenti da parte di finti pentiti che vorrebbero attirare Bonaventura in una trappola. Il pentito crotonese ricorda anche la sua «prima intervista», rilasciata al “Quotidiano della Calabria” nel gennaio scorso. Inoltre, Bonaventura chiede che nessuna modifica del programma di protezione possa avvenire «senza prima avere ottenuto una liquidazione a titolo di risarcimento danni e di indennità per consentire al collaboratore e ai suoi familiari di spostarsi all’estero». Pertanto, sempre secondo i legali del pentito, «Deve disporsi la sospensione del trasferimento poiché nessun trasferimento in località del Nord Italia sarebbe sicuro». Perché «La mimetizzazione non è mai esistita», con riferimento al mancato rilascio di documenti di copertura. Ma ecco il racconto di «eventi molto strani». 

PENTITI E DOLCE VITA. «Il collaboratore giunto nell’attuale città (Termoli) si trovava agli arresti domiciliari. Un giorno decide di scendere sotto al cortile del palazzo ove abitava. Dopo pochi minuti che si trova sotto casa (la prima casa dove è stato portato ad abitare) incontra Francesco Amodio (ex affiliato di una ‘ndrina di Cosenza nonché collaboratore di giustizia oggi non più a Termoli), entrambi si guardano e si riconoscono. Erano stati insieme nel carcere di Cosenza nel 1994. Dopo l’incontro avvenuto in quella occasione ne seguono altri. Amodio rivela di essere un collaboratore di giustizia, ma a differenza del signor Bonaventura conduce una vita completamente diversa. Uscite in discoteca, auto costose, ben vestito. Fino ad arrivare agli inviti diretti al sig. Bonaventura e finalizzati a coinvolgerlo ad uscite di divertimento e quant’altro. Inviti sempre rifiutati Bonaventura il quale non vedeva di buon occhio un soggetto che conduceva una vita di collaboratore incompatibile con le prescrizioni indicate dai N.O.P. e dal S.C». 

L’INCONTRO CON L’EX BOSS FERRAZZO. Si prosegue con l’incontro nella pizzeria. Bonaventura « aveva una pizza pagata per se e la propria famiglia. L’invito in effetti era finalizzato a creare un forma di contatto e di incontro con la persona a cui Amodio aveva più volte cercato di portare Bonaventura, con riferimento a Felice Ferrazzo e al figlio Eugenio. In effetti, in un’altra occasione, in cui Bonaventura si recò presso la pizzeria. ad un tavolo era seduto proprio Felice Ferrazzo». Stiamo parlando dell’ex boss di Mesoraca ed ex pentito in seguito all’arresto per armi. Anche lui viveva a Termoli. Ma se Felice Ferrazzo fu arrestato nel 2011, «prima di lui» venne arrestato il figlio Eugenio. Nel maggio 2011, a San Salvo, i poliziotti gli trovarono, in un garage, una raffineria di droga, delle armi e mezzi rubati. San Salvo è a pochi chilometri da Termoli. Eugenio Ferrazzo abitava a Campomarino, distante cinque chilometri da Termoli. Felice Ferrazzo proprio la scorsa settimana è stato riarrestato per un traffico di armi dalla Svizzera. Il garage in cui erano le armi scovate a maggio, poi, sarebbe riconducibile a un ispettore capo che «era il responsabile delle scorte del collaboratore di giustizia Bonaventura e appartenente al Commissariato di Termoli». 

ABBORDATO DALLA ‘NDRANGHETA. E ancora i legali del pentito riferiscono che « in ben due occasioni si trovava a camminare sul corso principale di Termoli quando è stato abbordato e avvicinato da soggetti appartenenti alle famiglie ‘ndranghetistiche dei De Stefano e Tegano. L’intento era quello di far sì che Bonaventura diventasse un falso collaboratore di giustizia e cioè che venisse corrotto».

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