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POTENZA – Potenza città universitaria. Solo uno spot? Per Michele Lavella, presidente del Consiglio degli studenti dell’Università di Basilicata i rapporti tra il capoluogo di regione e l’università hanno delle ragioni molto più profonde. «Gli studenti – dice – devono essere un valore aggiunto. Ciò che manca è proprio il legame personale degli studenti e dei docenti con la città che potrebbero apportare il loro contributo anche in questa fase di stallo politica, sociale e amministrativa della città di Potenza».

Qual è a tuo parere il primo ostacolo a fare di Potenza una città universitaria?

«La nostra è una piccola università di una piccola regione, con molti studenti dei piccoli comuni lucani. Il primo problema è la coesione territoriale».

Mancanza di coesione in termini di identità o di infrastrutture?

«Prima di tutto di infrastrutture. I trasporti sono fondamentali, sia quelli urbani che extraurbani. Ci sono linee extraurbane, per esempio, che hanno l’ultima corsa alle 17 e non permettono agli studenti di seguire nemmeno le ultime lezioni. E’ inaccettabile. E poi coesione sociale, attraverso l’istituzione della Consulta accademica che mette insieme l’Università e i vari enti locali».

Per quanto riguarda il trasporto urbano, visti anche i tagli all’ultimo piano?

«Quello vigente include l’Università in molte tappe. Ma se è vero che per quanto riguarda il Campus ci sarà una linea che al ritorno non prevede la fermata all’università, costringendo noi studenti ad andare fino al San Carlo per prendere l’autobus è inammissibile. Noi capiamo il momento difficile e siamo anche disposti a rinunciare a qualcosa ma non possiamo tornare così indietro. Abbiamo dovuto lottare per avere la fermata interna al Campus. Adesso pensare di realizzare la scala mobile che avrebbe dovuto collegare il polo di Macchia Romana al centro storico è impossibile ma tagliare sulle corse significa rinunciare anche a tutti gli introiti che ne derivano dalla bigliettazione e dagli abbonamenti».

Dai trasporti alla viabilità. Ritieni i collegamenti siano sufficienti?

«Assolutamente no. Il Campus è praticamente in una contrada ancora poco urbanizzata. C’è via dei Caduti di Kindu, quella salita che permette di sbucare a Santa Maria, che è una selva oscura. I parcheggi non sono asfaltati, non c’è una strada adeguata per chi vuole raggiungere l’Università dalla Basentana passando per Sant’Antonio la Macchia».

E gli alloggi?

«Noi da tempo chiediamo dei contratti tipo, in modo da agevolare studenti e affittuari e ridurre il nero. La casa dello studente di via Mazzini, inoltre, è del tutto inadeguata e malandata. Sembra che i problemi riguardino prevalentemente il polo scientifico».

Quali le criticità per quello umanistico di rione Francioso?

«Macchia Romana è una vera e propria enclave della città, del tutto scollegata. Francioso è un pezzo storico, che andrebbe rivalutato proprio nel suo ruolo ampliando magari l’offerta didattica. L’errore più grande è stato chiudere lingue, nonostante si parli di internazionalizzazione dei corsi di laurea. Non solo andrebbe riaperta ma ampliata, con l’introduzione delle lingue arabe per esempio, per quell’apertura verso il mediterraneo tante volte citata»

Qual è la tua idea quindi, di una città per l’università o di un’università per la città?

«Entrambe le cose. Se veramente fossimo protagonisti della vita cittadina ci sarebbero anche più iscritti all’Università, proprio tra agli stessi potentini. L’Università lucana è un’università del territorio. Chi è qui ha fatto una scelta importante: crediamo nel territorio e abbiamo un forte senso di appartenenza. L’Università è un laboratorio di idee. Forse è a noi che bisogna guardare per trovare le soluzioni».

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