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POTENZA – Quello in cui sono morti i coniugi Gianfredi è stato un agguato deciso dai vertici della famiglia “basilisca”, come hanno confessato Alessandro D’Amato e Antonio Cossidente, l’esecutore materiale e uno dei suoi organizzatori.  

E’ quanto sostiene il Tribunale del Riesame di Salerno che ha respinto i ricorsi del 50enne pignolese Saverio Riviezzi e del 51enne potentino Carmine Campanella.

La decisione che ha confermato l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a loro carico, oltre alle accuse dei pentiti una serie di riscontri raccolti dagli investigatori di polizia e carabinieri, è stata depositata soltanto ieri mattina. Due giorni fa c’era stata quella di identico tenore per il fondatore della “quinta mafia”, Gino “faccia d’angelo” Cosentino, per cui i termini di decadenza dell’ordinanza di arresti scadevano sabato sera.

Cosentino, 59enne e collaboratore di giustizia da settembre del 2007 a maggio dell’anno scorso, è accusato di essere stato il mandante dell’agguato in cui morirono Pinuccio Gianfredi e sua moglie Patrizia Santarsiero, il 29 aprile del 1997. Dei 3 destinatari dell’ordinanza di misure cautelari spiccata a fine febbraio dal gip Maria Zambrano era l’unico ancora in libertà, mentre Riviezzi e Campanella erano già detenuti per altro. 

Il fascicolo sul duplice omicidio di Parco Aurora con le confessioni del melfitano Alessandro D’Amato e del potentino Antonio Cossidente era tornato a Salerno agli inizi del 2011.

A disporre la sua partenza era stato il gip di Potenza Gerardina Romaniello, dato che negli anni le indagini sul duplice omicidio di Parco Aurora avevano coinvolto anche il marito di un ex pm potentino. Ma lo stesso magistrato aveva anche respinto la richiesta di arresti nei confronti di Riviezzi, Campanella e del potentino Claudio Lisanti, che oggi non può difendersi perché è morto a gennaio dell’anno scorso, ma è tuttora indicato come il secondo sicario del “gruppo di fuoco” entrato in azione dopo D’Amato.

Per il gip le dichiarazioni di D’Amato e Cossidente nei confronti di Riviezzi risultavano «contraddittorie», mentre a sul ruolo di Campanella e Lisanti mancavano i riscontri necessari. Cosentino, d’altra parte, all’epoca godeva ancora dei privilegi del programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia.

In precedenza, per l’esattezza a luglio del 2004, erano già finiti in carcere Antonio Cossidente e Claudio Lisanti, assieme a un altro ex pentito, il pignolese Gennaro Cappiello, indicato come il mandante. Ma il Riesame avrebbe scarcerato subito i primi due e il processo nei confronti del solo Cappiello si è chiuso a dicembre del 2006 con la sua assoluzione.

Quattro anni dopo sono arrivate le confessioni di D’Amato, camionista di professione ma di fatto braccio armato del clan Cassotta, e di Antonio Cossidente, l’ex boss della calciopoli rossoblu e delle amicizie nei palazzi che contano.

Stando a quello che ha dichiarato D’Amato, Saverio Riviezzi e Antonio Cossidente l’avrebbero “reclutato” tramite i loro referenti del melfese. L’agguato di Parco Aurora sarebbe stata la sua “prova del fuoco”. Mentre sei mesi prima Claudio Lisanti ne avrebbe compiuto un altro assieme a Carmine Campanella, che è accusato di aver effettuato i sopralluoghi sotto casa di Gianfredi. Obiettivo: Michele Danese, un “basilisco” che aveva sgarrato rifiutando di sfregiare la sua stessa sua sorella per vendicare l’onore del compagno, che poi altri non era che Gino Cosentino. Un antefatto ripercorso anche da Cossidente.

L’ex boss ha confessato di aver organizzato il tutto perché con Cosentino si era deciso di «mandare un segnale» al clan egemone sugli affari criminali nel capoluogo. Dato che i loro esponenti principali all’epoca si trovavano in carcere la scelta del bersaglio sarebbe ricaduta su Gianfredi considerato l’«eminenza grigia» del gruppo, mentre la morte della moglie Patrizia Santarsiere sarebbe stata soltanto un errore, dovuto alla mira di Lisanti col fucile a canne mozze utilizzato per l’occasione.

l.amato@luedi.it

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