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Il porto di Crotone

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CROTONE – Erano politici gli appoggi della cricca di imprenditori del comparto marittimo che sarebbero riusciti a ottenere anomali nullaosta di concessioni, forse addirittura in taluni casi in cambio di tangenti, da parte di funzionari dell’Autorità portuale di Gioia Tauro che si ritrovano indagati.

L’avviso di chiusura delle indagini, per una serie di episodi di abuso d’ufficio e falso, è stato notificato dalla Guardia di finanza a Luigi Errante, di Reggio Calabria, già dirigente dell’area periferica di Crotone e successivamente quadro area di presidenza con qualifica Psfo (Port Facility Security Officer); Saverio Spadafora, di Cirò Marina, segretario generale dell’area tecnica; Pasquale Faraone, di Palmi, dirigente dell’area amministrativa; Antonio Rizzuto, di Rende, funzionario del settore Demanio, Salvatore Silvestri, di Palmi, ex segretario generale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti – il fascicolo era in mano prima al pm Gaetano Bono, poi al pm Alfredo Manca, entrambi rtasferiti, ed adesso è sulla scrivania del pm Pasquale Festa, fresco di giuramento – vi sarebbero state una serie di omissioni reiterate nel tempo che avrebbero causato distorsioni nel mercato annichilendo le potenzialità dell’infrastruttura.

Nelle carte del Nucleo Mobile della Compagnia di Crotone, di recente elevata a Gruppo, si parla di un vero e proprio “sistema porto” che protegge chi ne fa parte e sfavorisce le imprese non allineate. Così chi è nel “sistema” ottiene rinnovi di autorizzazioni che non potevano essere concesse mentre gli esclusi si ritrovano richieste di produzioni documentali e controlli zelanti a fronte di totale di assenza di monitoraggi per gli “altri”.

Secondo l’ipotesi investigativa che era all’origine della richiesta di intercettazioni fatta dalla Finanza alla Procura crotonese, una delle imprese si sarebbe rivolta a personaggi politici influenti, come un consigliere regionale e un funzionario dell’Autorità portuale di Gioia Tauro che avrebbe appunto concesso le autorizzazioni in violazione di norme di settore. Dopo l’uscita di scena della società Recycling, l’unica società a detenere una gru portuale era la Compagnia Impresa lavoratori portuali srl che ha di fatto operato tutti gli sbarchi di cippato di legno per la società Isia Global Service e l’unico imbarco di pneumatici fuori uso per la società Salvaguardia ambientale.

I piani operativi di queste tre società sono stati, dunque, portati a compimento con l’utilizzo della gru della Compagnia imprese lavoratori portuali sebbene, rilevano gli inquirenti, la legge vieti forme di collaborazione contrattuale finalizzata a eludere la sussitenza dei requisiti minimi, ovvero le capacità tecniche consistenti nel possesso di macchinari per lo svolgimento delle attività. L’Auorità portuale avrebbe dovuto vigilare in tal senso. Inoltre un trattamento diverso sarebbe stato riservato alla Recycling e alla I&I di Emilio Iuticone, con richieste di integrazioni documentali che hanno determinato ritardi nel rilascio di autorizzazioni.

La Recycling, autrice di esposti, è diventata oggetti di controlli di vari enti – vigili del fuoco, carabinieri del Noe, Asp – con la collaborazione di Capitaneria di porto e Autorità portuale a fronte di sistematiche violazioni da parte dei concorrenti, come per esempio l’accumulo di cippato fino a 12 metri di altezza quando non si dovrebero superare i 4 metri. Tra le imprese favorite, secondo quanto riferito da una fonte confidenziale agli investigatori, una avrebbe corrotto funzionari pubblici e sarebbe riuscita a ottenere la liquidità necessaria da una partita di giro grazie all’ottenimento dal Comune di 300mila euro per lavori di manutenzione mai eseguiti.

Un’ipotesi tutta da verificare, così come quella secondo cui una delle imrpese favorite avrebbe “agganci” al Comune e in alcuni influenti personaggi politici crotonesi. Canali attraverso cui sarebbe stata appunto bypassata la carenza di requisiti necessari per le autorizzazioni.

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