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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Ha collaborato con la Guardia di Finanza, indicando i nomi di chi gli avrebbe prestato soldi a tassi usurari. I suoi presunti strozzini in primo grado sono stati condannati ad aprile 2014. Uno a due anni e 4 mesi e un altro (accusato anche di estorsione) a 4 anni. Si è costituita parte civile al processo. Ma visto come stanno andando le cose forse si è pentita di aver collaborato. Da anni infatti attende una risposta dopo aver presentato per ben tre volte la richiesta di accedere al fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura.

E’ la storia di un’imprenditrice lametina che, a fronte di un prestito di 15.000 euro, alla fine ne ha restituito 200.000. «Ma a cosa serve denunciare se poi lo Stato ti abbandona e, peggio ancora, non da risposte» racconta l’ìmprenditrice. E intanto, a causa della vicenda che suo malgrado l’ha vista vittima, la sua azienda è vicina alla chiusura per i debiti che intanto si sono accumulati. E questo anche e soprattutto perchè lo Stato non le da risposta. Ha ricevuto solo un mutuo decennale di 20.000 euro che però non riesce a pagare.

La prima istanza l’ha presentata alla prefettura di Catanzaro il 6 febbraio 2013, poi il 17 novembre 2014 e ancora il 19 febbraio 2015. Più volte ha chiesto notizie della sua pratica, ricevendo solo risposte del tipo: «Stiamo vedendo, aspettiamo il Ministero». Tra l’altro attende ancora di essere chiamata a visita a Messina per vedersi riconosciuta anche i danni morali. «Questa vicenda – racconta ancora – oltre alla mia azienda ha distrutto anche me, ho vissuto nel terrore ma lo Stato non mi sta tutelando». L’indagine inizia nel 2008, dopo che l’imprenditrice era finita nel tunnel. Non mancarono minacce e anche quando davanti al suo negozio trovò una bottiglia con benzina. Episodi che paura non ebbe il coraggio di denunciare. Poi la Guardia di Finanza decise di vederci chiaro. Gli investigatori, infatti, scoprirono alcuni rapporti finanziari sospetti che l’artigiana intratteneva con i presunti usurai. I finanzieri trovarono appunti e documenti vari attraverso i quali sarebbero riusciti a ricostruire lo scambio di denaro intercorso tra i presunti usurai e la vittima, la quale ammetteva le circostanze nel momento in cui era stata posta di fronte ai fatti.

Con uno dei due imputati l’imprenditrice inizialmente avrebbe dovuto corrispondere interessi dell’85% annuo e, successivamente, aumentati al 120% annuo. Il secondo imputato (accusato anche di estorsione), in particolare, avrebbe prestato denaro alla sua vittima chiedendo interessi quantificati al 50% e successivamente, avrebbe costretto la vittima al pagamento delle somme illecitamente pretese.

Nel corso delle indagini la Guardia di Finanza effettuò intercettazioni telefoniche e perquisizioni nei confronti degli imputati che alla fine supportarono l’attività investigativa. Gli investigatori del Nucleo mobile della Finanza -diretto dal brigadiere Vito Margiotta – scoprirono i fatti nel corso di alcuni controlli nell’ambito di altre indagini che, alla fine, consentirono di individuare la donna lametina che con la sua impresa artigianale era finita nelle “grinfie” dei presunti usurai poiché versava in grave stato di bisogno. Poi ha collaborato e chiesto aiuto allo Stato. Anche mediante lettere a tutte le istituzioni non ricevendo mai risposte da nessuno, compresa l’Associazione antiracket lametina.

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