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Quali sono gli ingredienti alla base del gradimento riscosso da Dario Brunori, alias Brunori sas? Diverse, le frecce all’arco del cantautore, due album pluripremiati nel carnet, centinaia di date in ogni angolo d’Italia. Rivisto in un concerto intimo e raccolto nella sua San Fili, il piccolo centro nel quale vive, il John Turturro di Guardia Piemontese ha confermato anche in un recital one-man-show le sue doti di intrattenitore e performer, spiritoso e insieme ispirato. L’occasione era la prima serata della rassegna “Cosa vuoi che sia una canzone”, nel piccolo teatro Gambaro, curata da Renato Costabile (altri appuntamenti previsti: Mimmo Cavallo, Patrizio Trampetti, Peppe Voltarelli chiude il 28). Totalmente “unplugged”, Brunori ha restituito al pubblico le canzoni nella loro veste nativa, nuda. Diciotto pezzi di un repertorio distribuito tra “Volume Uno”, “Poveri Cristi” e la recente colonna sonora del film “È nata una star” (con Rocco Papaleo e Luciana Littizzetto), dal quale Brunori ha scelto per il pubblico di casa tre estratti.

Vestito di nero “come un sommelier”, il cantautore ha inframmezzato le esecuzioni con gag infarcite di umorismo a base di autodenigrazione e comico cinismo. La sua storia è quella di “una vita normale”, di un ragazzo di provincia che frequentava le chiese mentre i coetanei si facevano le canne, come canta in “Nanà”. Ma uscito alla distanza come certi ciclisti di montagna, Dario Brunori è diventato il cantore ideale di quella provincia, di storie di outsider come “Il giovane Mario”, “Paolo”, “Italian Dandy”, l’innamorato di “Tre capelli sul comò” che si consegna a maghi e fattucchieri. Serenamente ostaggio del suo brano più celebre e amato, Brunori a metà esibizione propone “Guardia ‘82”, che, come tutti i ritratti più riusciti, trasfonde le memorie personali in un quadro che sa farsi generazionale e collettivo. Tristezza e ironia sono dosate in parti giuste, così come la capacità di puntare da una parte sull’immedesimazione e dall’altra sul rifiuto di prendersi troppo sul serio. È stato indicato Rino Gaetano come il padre nobile e antico di Dario Brunori. Ci permettiamo di aggiungere (e forse premettere) Lucio Dalla, Edoardo Bennato – qui evocato dall’uso di un tamburello a pedale – e quel cantante la cui influenza si fa sentire più di tutte, a distanza di decenni: Lucio Battisti. Basta ascoltare il funk di “Il suo sorriso”, saldata in medley a “Cuore a pellet” con  coda finale di omaggio al Prince di “Kiss”, per levare qualsiasi dubbio. Il sosia di Turturro regala ricco bis levandosi la chitarra e sedendosi alla pianola rossa, per una spiritata interpretazione thriller, assai efficace, di “Rosa”. Dario profeta in patria.

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