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POTENZA – Non ci sono sempre e solo dati negativi. Forse non ce ne accorgiamo, presi come siamo da debiti, dissesto e crisi economica, ma gli indicatori parlano chiaro: qui nel capoluogo si vive meglio che in molte città del Centro Nord. E a dirlo è una ricerca che vuole analizzare e valutare il “Benessere equo e sostenibile delle province” italiane.
Una ricerca che pone Potenza tra i capoluoghi del Meridione che rappresentano positivi esempi, con valori più alti di quelli di molte città del Centro e del Nord (quelli, per intenderci, che in classifica sono sempre meglio posizionati). Il Rapporto UrBes 2015 -promosso in Italia da Cnel e Istat – è finalizzato «all’individuazione delle misure più idonee a rappresentare il progresso del Paese e dei territori verso l’incremento del benessere dei cittadini, da affiancare a quelle macroeconomiche tradizionalmente utilizzate per la misura della crescita. Quindi, in pratica, si mettono a confronto le diverse province mettendo a confronto dodici diversi parametri: salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; ricerca e innovazione; qualità dei servizi.
Dodici ambiti dai quali Potenza non esce così disastrata come, invece, le nostre vicende locali lascerebbero pensare.
I dati sulla nostra salute, per esempio, sono tutto sommato in linea con il resto del Paese. Certo, come al solito, le donne hanno un’aspettativa di vita più alta rispetto agli uomini, ma non è proprio una novità: sopra la media italiana (di 84 anni) per le donne, che arrivano in media a 85 anni. Gli uomini hanno una speranza di vita più bassa, invece, rispetto alla media nazionale: 78 anni rispetto agli 80.
Alto anche il livello d’istruzione, anche se bisogna distinguere la città dalla provincia di Potenza. In città c’è un numero di diplomati più alto rispetto alla media italiana (70 contro i 60 di media nazionale). Ma la percentuale si abbassa considerando la provincia tutta. Potenza ha valori più elevati rispetto a molte città del Nord anche per quanto riguarda il numero di laureati. Ed è un vantaggio “di genere”: nel settore dell’istruzione e della formazione, infatti, «si può ormai parlare di un vero e proprio svantaggio maschile: le donne mostrano risultati nettamente migliori e gli indicatori testimoniano un crescente distacco dai livelli su cui si attestano gli uomini». Perchè poi questo enorme vantaggio non si traduca in lavoro è un discorso difficile da affrontare. E, in parte, c’entra con la conciliazione dei tempi di lavoro con la vita privata, che è un atro aspetto considerato.
Il dato non certo positivo riguarda, come prevedibile, il lavoro. Qui a Potenza il tasso di occupazione continua a scendere e siamo ben al di sotto della media nazionale. Come molto bassa resta la partecipazione al mercato del lavoro e il benessere economico delle famiglie. Pensiamo che a Milano il reddito medio pro capite delle famiglie è di oltre 26 mila euro e a Bologna di oltre 23 mila; nella provincia di Potenza nel 2012, il reddito disponibile pro capite delle famiglie è risultato pari a 13.734 euro, nettamente inferiore a quello nazionale. Le difficoltà economiche delle famiglie sono confermate dal significativo incremento delle sofferenze bancarie il cui tasso sale, nel 2013, all’11,2%.
Più che soddisfacente invece il dato sulle relazioni sociali: il no profit nel capoluogo ha livelli superiori a molte città del Nord e alto è anche il numero dei volontari. Questo a conferma di una grande vivacità di questo settore soprattutto nella città capoluogo (un po’ meno in provincia). Certo, c’è poi l’altro lato della medaglia: ad esempio, Potenza ha il tasso più alto di cooperative sociali (3,5) ma una quota inferiore alla media di lavoratori retribuiti (60,9). E’ il lavoro, insomma, il nostro tallone d’Achille.
Tendenze negative anche per quanto riguarda la partecipazione alle dinamiche politiche. Certo, «la partecipazione elettorale, anche se con qualche eccezione, mostra una tendenza diffusa alla diminuzione», ma se guardiamo la quota di donne assessori comunali, ci rendiamo conto che qui davvero qualcosa non va. Se la media nazionale è 20, nella provincia di Potenza raggiungiamo a stento il 5.
Possiamo consolarci, però, con i dati relativi alla sicurezza: da questo punto di vista abbiamo davvero gli indici più bassi in Italia, sia dal punto di vista delle rapine sia da quelli dei furti nelle abitazioni: Potenza, infatti, risulta essere tra le quattro città italiane in cui più bassa è l’incidenza di reati.
Meno positivo il bilancio dal punto di vista culturale: siamo ben al di sotto della media (a dispetto dei dati sull’istruzione) per quanto riguarda presenze di Musei e biblioteche. Scarso l’utilizzo di questo patrimonio che, invece, potrebbe essere un potenziale positivo. E non andiamo bene neppure sulla presenza di aree verdi e parchi urbani di interesse storico, che rappresenta appena lo 0,2 della superficie del centro abitato. Eppure, nel capoluogo, gli edifici abitati costruiti prima del 1919 sono per la maggior parte in ottimo stato di conservazione, uno dei valori più elevati nel Sud.
Altro fattore selezionato riguarda anche i servizi offerti all’infanzia. E si scopre così che a pagare la crisi sono soprattutto i bambini. «L’accesso ai servizi comunali della prima infanzia – si legge nel Rapporto – risulta complessivamente in diminuzione negli ultimi anni. E’ condizionato dalle ridotte capacità di spesa dei Comuni, dalla crisi economica e dai minori trasferimenti statali». Basso nel capoluogo il numero di bambini (0-2 anni) che hanno usufruito del nido: 7% rispetto a una media nazionale del 13.5%. In città, inoltre, l’offerta di trasporto pubblico offerti in totale da tutti i veicoli del trasporto pubblico è tra le più basse in assoluto e di gran lunga inferiore alla media nazionale. Insomma, meno male che ci resta la salute.

a.giacummo@luedi.it

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