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COSENZA – Le centinaia di pagine che compongono l’ordinanza di arresto per il sindaco di Scalea, Pasquale Basile, cinque assessori dello stesso Comune, e gli esponenti della cosca locale, rappresentano uno spaccato di infiltrazione malavitosa molto radicata. Secondo quanto emerge, non si tratterebbe di semplici condizionamenti, ma di decisioni assunte di comune accordo, con riunioni che avrebbero visto allo stesso tavolo gli amministratori e gli ‘ndranghetisti. 

A sottolineare il livello di intrecci è il procuratere della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo: “Ci interessa poco se siano stati aiutati per i voti alle elezioni: qui rileviamo una profonda compenetrazione tra il sindaco e gli assessori con la ‘drina locale di Scalea”.
“E anche la struttura burocratica del Comune fa degli illeciti di natura amministrativa e legale – ha aggiunto Lombardo – come per esempio abbiamo visto che ci si impegnava per far diminuire, e di molto, il costo di alcune concessioni, a tutto favore degli esponenti della cosca”. Altrettanto dure le dichiarazioni del procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Borelli, che ha seguito personalmente l’evolversi delle indagini: “Il voto di scambio è davvero secondario: il Comune di Scalea è stato di fatto amministrato da due ‘ndrine. Faccio il pubblico ministero dal 1990 e non mi era mai capitato –  ha detto ancora Borrelli – di ascoltare intercettazioni del genere. Di solito, nei momenti topici del narrato abbassano la voce. Ma qui manca ogni consapevolezza dell’antigiuridicità di quello che si sta facendo”. Secondo Borrelli, quindi, “non è una collusione, ma c’è una città che è stata amministrata direttamente dalla ‘ndrangheta”. Lo scenario, nel centro tirrenico, non sarebbe nuovo. “Numerosi elementi, che svilupperemo in futuro, lasciano ritenere che anche in altri tempi la situazione sia stata la stessa – ha detto ancora Borrelli – e abbiamo ampio matereriale per studiare a fondo la storia di Scalea”. Ma Borrelli ha anche lanciato una forte denuncia: “Questi fenomeni possono verificarsi perchè il territorio dell’alto Tirreno cosentino è stato abbandonato”. Una critica aperta per l’assenza di “presidi dello Stato su un territorio ad alta densità criminale come quello che va da Cetraro a Scalea, cioè al confine del Basilicata”. Il magistrato ha plaudito al lavoro dei Carabinieri del Comando provinciale di Cosenza per l’indagine che ha consentito l’arresto del sindaco e di cinque assessori del comune di Scalea, in un’operazione che ha portato all’esecuzione di 38 misure cautelari nel complesso, ribadendo però che “non è facile per i carabinieri di Cosenza svolgere un’indagine a Scalea, non bastano tre carabinieri al Nucleo investigativo della Compagnia di Paola o i poliziotti di un commissariato che dista quaranta chilometri da quel centro”.
RISCHIO SCONTRO. I Carabinieri hanno probabilmente impedito uno scontro armato fra opposti clan della ‘ndrangheta a Scalea con l’esecuzione delle 38 ordinanze di custodia cautelare dell’operazione “Plinius”. I clan Valente e Stummo, infatti, econdo quanto emerge dalle indagini, avevano raggiunto una tregua molto precaria intorno agli affari da spartirsi nel territoriod ella cittadina tirrenica. Ad interrompere il patto tra i boss Pietro Valente e Mario Stummo sarebbe stato il ritorno in libertà di Luigi Muto, figlio dello storico boss di Cetraro, Franco. 
Pietro Valente fu aggredito e percosso , in modo volutamente plateale, dagli uomini di Stummo, il giorno dopo la scarcerazione di Muto, tanto da essere costretto a trovare rifugio a Sala Consolina (Sa), dove avrebbe avuto l’appoggio di un noto narcotrafficante da sempre vicino a Franco Muto. Valente, lungi dall’accettare il ridimensionamento, sarebbe stato in costante contatto con i suoi sodali i quali, a loro volta , secondo quanto emerge dalle indagini, si recavano a Cetraro, quartier generale del clan Muto, evidentemente per essere autorizzati a compiere ritorsioni ai danni degli uomini di Stummo.
LE REAZIONI. Dura anche la reazione di Sonia Alfano, presidente della Commissione Antimafia Europea: “Quella di Scalea è una situazione gravissima: cosche infiltrate al Comune, appalti pilotati, assoggettamento della cittadinanza attraverso l’uso di armi da guerra. Lo scenario emerso dall’operazione ‘Plinius’ è davvero allarmante. Una situazione indecente portata alla luce dalla DDA di Catanzaro e dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza, ai quali esprimo il mio più vivo apprezzamento per il lungo e complesso impegno e per il risultato odierno”. 
“Questa gravissima vicenda – aggiunge Sonia Alfano – rivela quanto e come la collusione della politica e dell’imprenditoria con la ‘ndrangheta sia estesa. Senza l’aiuto dei cittadini sarà difficile uscirne, nonostante l’assiduo e infaticabile impegno della magistratura e delle forze dell’ordine. Chi è in prima linea nella lotta alle mafie non può e non deve essere lasciato solo. E’ evidente che organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta basino la propria forza e il proprio potere soprattutto sul consenso dei cittadini: bisogna invertire la rotta e scardinare il sistema. Adesso, subito, e con l’impegno di tutte le forze sane della società civile”.

Secondo la Cgil della Calabria e la Camera del lavoro territoriale Pollino Sibaritide Tirreno, “stante la gravità estrema in cui si è venuta a trovare l’amministrazione comunale di Scalea, uno dei centri più importanti del Tirreno Cosentino, in attesa che si faccia piena luce sull’intera vicenda – conclude il sindacato – chiediamo al Governo ed alla Prefettura di Cosenza di avviare ogni azione prevista dall’ordinamento giuridico per la messa in sicurezza dell’ente Comunale, per la sua gestione straordinaria a tutela dei cittadini e dei lavoratori e per il ripristino della legalità”.

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