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COSENZA – Dio benedica Cataldo Perri e il suo Squintetto. Rivisto nell’esibizione cosentina sul palco sospeso del Lungofiume Crati, il cantastorie jonico è riuscito a catalizzare l’attenzione del distratto popolo serale di visitatori in cerca di fresco. Merito della grande maestria di Perri e della sua «piccola orchestra», che hanno messo a punto un meccanismo sonoro ad alta precisione. Puntuale e fascinoso, che non lascia nulla al caso, ricco di sfumature, raffinatezze melodiche e contrappuntistiche. Con tre album pubblicati, “Rotte saracene”, “Bastimenti”, “Guellarè”, Perri vanta oggi un repertorio ch’è come un ventaglio: tango, klezmer, jazz, tarantella, milonga, arabesque convivono dentro uno stile meticcio, eppure fermo e sicuro. La sua musica “controvento” non ricorre a scimmiottature, non si presta alle etichette, buone per gli imbonitori. La sua chitarra battente è come la risacca del mare, si porta dentro tutti i maestrali e gli scirocchi che da millenni battono le coste; le imbastiture della piccola orchestra rievocano le incursioni turchesche dei secoli scorsi, le danze albanesi dei nostri dirimpettai, le tarantelle cariatesi, le odissee delle carrette del mare. È una musica che fa tesoro — e che si fa carico — delle memorie di una terra da baciare, che ha subito invasioni e che ha visto i suoi figli strappati dalla ricerca di una fortuna incerta, lontana. Ed ecco allora Costantinopoli e Buenos Aires; ecco la storia di Laura rapita dal sultano e di Nonno Michele perduto in Argentina. Ecco i racconti dei pescatori. Le rotte saracene, i bastimenti carichi di speranze, il disincanto di chi rimane, la lotta per una sopravvivenza dignitosa, che oggi è ugualmente complicata di quanto fosse secoli fa. Poi ci sono loro, i cinque dello Squintetto, che accompagnano e scompaginano, assegnando alle canzoni di Cataldo Perri quel suono mosso, bastardo e lunfardo, ricercato, zeppo di ricercatezze e timbri diversi. Sguinzagliano i loro strumenti come incursori. Fanno a gara, bisticciano e poi si ritrovano. S’imbizzarriscono, fanno finta, fanno la pace. Giocano con le note. Il contrabbasso di Carlo Cimino, i tamburelli del funambolico Checco Pallone, la fisarmonica di Enzo Naccarato, il violino e la lira di Piero Gallina, il sassofono di Nicola Pisani (nativo di Trani, l’unico non calabrese dell’ensemble): questa è un’orchestra coi fiocchi. Perri naturalmente lo ha capito e da quasi un decennio non se la lascia sfuggire più. Cataldo Perri conosce la sua terra. La ama, ne esalta la bellezza e la grandiosità, ne piange le ferite e la miseria. Epica e ironia convivono nel suo racconto di uomo di Calabria.      

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