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PISTICCI – L’Odissea all’Alba rischia di trasformarsi presto in un orizzonte senza gloria. E’ fondato il timore che comunque vada a finire la guerra alla Libia, l’Italia possa perdere quella posizione di vantaggio economico – commerciale nei confronti di un territorio incline, per una complessità di fattori storici e politici, a stringere accordi con l’imprenditoria del Bel Paese. Le esitazioni e le incertezze nelle scelte di politica estera nazionale potrebbero essere pagate a caro prezzo. Un’Italia compressa tra la necessità geopolitica di essere parte della coalizione dei volenterosi e l’aspirazione a gestire in base alle proprie esigenze ed in amicizia i rapporti con la Libia, vive la contraddizione di comporre un’asse in cui la verve neocoloniale di alcuni Stati rischia di far retrocedere proprio la nostra nazione da quelle posizioni di vantaggio acquisite negli anni, attraverso un lavoro di diplomazia venuto a mancare proprio quando sarebbe stato strategicamente opportuno far valere i buoni rapporti con Gheddafi e mettere in campo un’azione tutta italiana, finalizzata a scongiurare l’intervento armato e cercare una soluzione mediata della crisi libica. Non è nemmeno tanto velato il timore, per dirla con il linguaggio pratico degli imprenditori, che i contratti petroliferi (e non solo) italiani possano essere sostituiti a fine conflitto da quelli francesi.
Per provare a capirne di più, la storia dell’imprenditore pisticcese Carlo Pastore può essere un utile eswmpio. Pastore è il presidente dell’Omcm, un’officina meccanica nata in Val Basento negli anni ’60. L’ingegnere Carlo Pastore l’ha ereditata dal padre. Ed oggi prova con coraggio a restituire una dimensione di competitività all’impresa che paga l’ovvio scotto di una zona industriale che in pratica non c’è più. Armato di fiuto imprenditoriale Pastore è riuscito, facendo tutto in prima persona, a stringere rapporti dal 2008 con gli imprenditori libici e lo scorso settembre ha chiuso un contratto in joint venture con la libica Gtes Co. per un lavoro che sarebbe consistito nella realizzazione di una rete di tubature ed impianti connessi, utile a veicolare il petrolio estratto nella zona di Wafa da parte dell’Eni ad alcuni centri di raccolta. Sul piatto una cifra, diversi milioni di euro, che avrebbe potuto cambiare la storia recente della Omcm. Il 2011 sarebbe stato decisivo per l’assegnazione dell’appalto che avrebbe fruttato lavoro e ritorno di capitali nella tanto affamata Lucania. “Ma la situazione venuta a determinarsi di recente – spiega Pastore – blocca tutti i processi in atto e tutto quello che è stato costruito con fatica rischia di essere compromesso quasi irrimediabilmente”. Il perché non è difficile da comprendere. “Noi italiani in Libia – seguita a dire Pastore – avevamo posizioni di vantaggio che adesso rischiamo di perdere in ogni caso. Se Gheddafi vincerà questa contesa non sappiamo come intenderà comportarsi con gli italiani, che stanno comunque prendendo parte alle operazioni militari. Se, invece, si affermerà un nuovo governo egualmente è difficile comprendere in che considerazione saremo temuti. In ogni caso, comunque, perdiamo quella facilità di tessere rapporti ed essere ospitati. Sono andato in Libia cinque volte, ho fatto una fiera a Tripoli e cercato intese anche a Bengasi, ho trovato un ambiente accogliente e ben disposto verso gli italiani. Bastava appartenere al nostro paese per avere priorità su altre imprese che volessero fare lo stesso tipo di lavoro. Era in piedi un trattato e per noi la Libia era diventata una opportunità, senza considerare l’importanza di poter operare in un ambiente cordiale ed in condizioni di lavoro di massima sicurezza. I libici erano disponibili, riconoscevano il made in Italy e ci garantivano privilegi che temo, adesso, possano essere perduti. Non ho idea della considerazione che potremo avere quando la guerra sarà finita”.
Sembra un paradosso, ma quella alla Libia, almeno sul piano commerciale, è una guerra combattuta contro gli interessi italiani da parte di alcuni alleati della coalizione che hanno come obiettivo quello di imporre gli interessi della loro economia nella successiva spartizione. “Non so se è una guerra contro di noi – aggiunge Pastore -, ma sicuramente è una guerra che non ci giova. Forse avremmo voluto non far parte dei volenterosi e probabilmente avremmo dovuto attivarci per una soluzione diplomatica, che solo noi italiani potevamo mettere in campo proprio per la nostra condizione di privilegio, essendo i primi partner commerciali della Libia in entrata ed in uscita. Adesso, invece, si è determinata una situazione complessa. Non so nemmeno cosa augurarmi. So che Gheddafi garantiva determinate condizioni di vantaggio. Se vince potrebbe non più garantirle e se vincono gli insorti potremmo dover ripartire da capo e trattare, nella migliore delle ipotesi, assieme ad altri paesi. Nel frattempo, però, perdiamo tutte quelle opportunità che già avevamo”.
Difficile, allora, illudersi che il futuro possa essere migliore. E’ sintomatico, d’altra, parte, che l’Italia stia cercando di ricondurre l’operazione militare in capo alla Nato anche per evitare pericolosi salti in avanti di singoli Stati. Ma in un certo senso è come riconoscere l’errore di non aver letto per tempo, a differenza degli imprenditori, i rischiosi sviluppi determinatisi negli ultimi sei giorni ed aver deciso in fretta o quasi per costrizione. Riuscire, ammesso che si riesca, a superare le contraddizioni, basterà a restituire il primato dei rapporti tra l’Italia ed un partner strategico come la Libia, qualunque Libia ci sia al termine delle operazioni militari? La sensazione è che le possibilità di ripristinare le condizioni di vantaggio italiane con lo Stato nordafricano siano inversamente proporzionali al tempo di durata dell’intervento armato.

Roberto D’Alessandro

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