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POTENZA – Anche io non capisco. Il vero scandalo è l’aver ancora bisogno di aggettivare la parola “persona” come se da sé non bastasse a definire un soggetto di diritto, considerato in sé o nelle sue funzioni sociali a prescindere da qualsiasi differenza di razza, sesso, età o cultura; il vero scandalo è che ci sia bisogno di Polese che impegni il Consiglio regionale in una mozione in cui non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di impegnarsi, tanto dovrebbe essere chiaro ed assodato da tempo che ci sono diritti che possono chiamarsi tali solo se vengono riconosciuti a tutti.

Dovremmo vergognarci (non solo qui in Basilicata, ovviamente) di quella sigla orrida e così sinistramente marchio – Lgbtqi – che l’arrogante ignoranza pasciuta dalla smania di individuare ad ogni costo un’inferiorità per sentirsi superiori costringe a scrivere accanto alla parola “persona”.

Invece alla mozione Polese (che ben venga, anzi benissimo, ma non è poi neanche più di tanto rivoluzionaria) c’è chi continua ad opporre il benaltrismo, come se la battaglia sui diritti non fosse la madre di tutte le battaglie, come se non fosse l’unica capace di trscinarsi dietro la democrazia vera e la giustizia.

C’è chi piuttosto che vergognarsi del fatto che in quasi dieci anni solo sette regioni abbiano aderito alla rete Re.A.Dy, usa la circostanza come supporto al proprio diniego, come dire che se i più si voltolano nel fango dell’ignoranza e dell’insensatezza, bene è che nessuno cerchi di sollevarsi e darsi una risciacquata.

Sarebbe finalmente ora invece, perché siamo già in ritardo, una società smart con un piede nel medioevo, con le app nella testa e i roghi sotto il letto.

Finora non si è sentita una sola motivazione, nessuna motivazione vera, capace di giustificare il mancato riconoscimento a persone di quei diritti che sono delle persone; non una, una sola che non sia la crociata politico-religiosa (pseudopolitica e pseudoreligiosa in realtà) dei cosiddetti difensori della naturalità e della famiglia tradizionale.

La Natura? Ma la Natura è esattamente quella che crea la varietà e l’armonica possibilità di coesistenza, quella che non si sente minacciata dalla pluralità e che è “naturale” in tutte le sue espressioni e manifestazioni, quella che non individua il vizio, il pericolo, l’offesa nella diversità delle sue singole creature.

E che dire della famiglia tradizionale? Della famiglia alla cui sacralità ci si appella? Una sedicenne incinta di uno Spirito, un uomo mite che credeva ai sogni, un figlio cresciuto con un padre che sapeva bene non essere suo padre, un figlio né traumatizzato né morto per questo, bensì per la paura, per la fame di potere, per l’arroganza dei più e per la mancanza di coraggio degli altri.

È questa la sacra famiglia: una donna a cui i nostri “crociati” oggi avrebbero dedicato con scherno una “tammurriata nera”, un uomo “cornuto” e credulone, un figlio disagiato e ribelle; la famiglia che Dio (o un Dio, o uno Spirito dell’Universo) ha voluto darci come esempio, forse per aprirci gli occhi, forse per una profetica cancellazione di quelle categorie di pensiero a cui alcuni uomini, i più pavidi e malfidi, avrebbero eretto monumenti così alti e ingombranti da coprire la verità.

Saremo veramente liberi quando non parleremo più di questo, ma intanto parliamone e “riscattiamoci”, perché di fronte ai diritti negati abbiamo tutti bisogno di riscatto.

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