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ERA uno dei marchi più conosciuti. Per un periodo le parole “acqua minerale” era sinonimo di “Cutolo”.

Quel che resta oggi di una gloriosa azienda è uno stabilimento alla mercè del degrado e dell’incuria.

Nonostante i vari tentativi del curatore fallimentare Di Ciommo di vendere la struttura, nessun imprenditore si è fatto avanti.

Il segno che nessuno vuole investire in un settore, quello delle acque minerali, che da qualche anno a questa parte sta facendo registrare una flessione nelle vendite.

 Colpa della crisi certo, ma anche di una concorrenza spietata che non lascia spazi a quei piccoli gruppi – come era quella della Cutolo – che non hanno saputo reinventarsi nel mercato globalizzato.

Qualche giorno fa i sindacati di categoria della Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil avevano sollecitato gli imprenditori a farsi avanti per l’acquisto dello stabilimento. «E’ un peccato – avevano sostenuto in una nota – veder deperire lo stabilimento con i macchinari. Il nostro auspicio è che si faccia avanti un’azienda del settore che rilevi la struttura e possa dare inizio alle produzioni e alla commercializzazione di acque minerali di grande qualità». A oggi il loro appello è caduto nel vuoto. Nei prossimi giorni il curatore fallimentare tenterà una nuova vendita della struttura. Il prezzo è stato fissato in 3.300.000 euro. A questa situazione di stallo, farebbe da contraltare quella dei lavoratori che erano impegnati nell’azienda. Le 56 maestranze potrebbero presto trovare una collocazione all’interno di due importanti aziende della zona del Vulture: la Cmd di Atella e il cementificio di Barile dei fratelli Rabasco. Entro dicembre dovrebbe concretizzarsi il tutto. Intanto ciò che rimane è sotto gli occhi di tutti. Nonostante i tentativi fatti anche dalla Regione Basilicata  (vedere l’accordo poi sfumato con Alacque) di far ripartire lo stabilimento, a oggi non c’è nulla di concreto. Davvero un peccato per un marchio che ha contribuito a far conoscere la  Basilicata anche all’estero.

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