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SI ergeva la ferrea torre, incastonata nella sua conca di scuro metallo, innalzandosi possente e monolitica. Erosa, sporca, eppure impressionante nell’aspetto e nell’imponenza, dominava la vallata d’acciaio in cui era stata inserita, come precipitata, chissà quanti secoli prima. Ai confini della vallata, alte quanto l’edificio, stavano le incredibili mura, metalliche anch’esse e fuse in un’unica colata da artefici ignoti, provenienti forse da luoghi lontani. D’un tratto, qualcosa sulla cima della torre millenaria si mosse; s’udì un borbottio, un gorgogliare confuso; poi dalla sommità colò un fluido nero, denso, incandescente, striato di sinistre venature brune. Velocemente scese lungo i fianchi della torre, si riversò sulla vallata metallica, raggiunse le mura mentre dalla cima dell’altissimo obelisco continuava a sgorgare inesorabile, a fiotti. Colmò il fondo della conca, s’accumulò, aumentando di livello e prendendo a ricoprire le mura. Velocemente il liquame saliva, saliva, e ora fumando sommergeva la torre senza ch’essa rinunciasse ad eruttarne ancora e ancora; vomitando imperterrito il pilastro condannava la vallata, il suo antico dominio. E quando il liquido raggiunse infine la cima della torre, ormai sul punto di traboccare oltre le mura, risuonò nell’aria un unico e potente grido: – Adalgisooo!- Adalgiso! – urlò Marisa, – ma che stai a fare lì impalato! – Guardo la moka. – E non vedi che il caffè è uscito di fuori?

Pubblicato nell’edizione cartacea de Il Quotidiano della Calabria del 27 settembre

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