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«UNO ci spera, ci prova, ma poi non è che i risultati siano incoraggianti». Allora viene quasi facile rinunciare o sperare di potercela fare altrove. E finisce che da Potenza cercano di andare via. Non tutti però, qualcuno ancora ha voglia di restare.
Hanno tra i 15 e i 18 anni, spesso «già la valigia pronta», un’idea precisa di che cosa manchi a questa città per sentirsi un po’ meno alieni (a gran voce chiedono spazi aggregativi e iniziative). Ma hanno, almeno alcuni di loro, la capacità di ammettere che «la maggior parte di noi si accontenta del branco, di alzare il gomito il sabato sera, senza una precisa idea di dove stia andando il mondo». Eppure tra chi dimostra di avere una testa per pensare, le richieste sono chiare e di poche pretese.
Emanuela Mecca ha diciassette anni e difende quello in cui crede. «Non stiamo a guardare». Con gli altri dell’associazione studentesca di cui fa parte, organizzano incontri, riunioni, appuntamenti tematici. Sanno bene che tra i loro coetanei la discussione su attualità e politica non è poi cosa frequente. E anche ieri, mentre andava avanti il corteo che recuperava le ragioni del movimento 15 ottobre, alcuni studenti ammettevano che «manca la consapevolezza». Il peggio, però, è quando di fronte a un’idea, ci si vede opporre un muro. «Qualche tempo fa – racconta Emanuela – un ragazzo si era messo a disposizione per offrire gratuitamente le proprie competenze sulla musica rock degli anni ‘60, al centro sociale di Malvaccaro. La prima volta mancava la corrente, la seconda la porta era chiusa, la terza non si è fatto neanche il tentativo». L’alternativa? Un po’ di “struscio” in via Pretoria. «E comunque sempre se sei motorizzato. Fare affidamento sui mezzi pubblici non conviene – fa eco Mariacristina Mona, maggiorenne, con una buona dose di sensibilità – Sembra paradossale, ma a volte penso che nei paesi piccoli sia quasi più facile per i ragazzi. C’è ancora una piazza punto di riferimento, ci sono ancora appuntamenti per incontrarsi». Qui, a Potenza, al massimo ci si incrocia.
Giovani Greco, 16 anni appena, ma una consapevolezza disarmante, a Potenza ci vuole restare. «E non solo perchè devo. Questa è la mia città, io qui sto bene e provo anche a spiegare che le cose non sono così male». Fino ad arrabbiarsi parecchio quando si imbatte in qualcuno che getta carte a terra o parcheggia al posto per i disabili: «E’ la mia città, perchè non dovrei averne cura?».
Il punto, però, è che «l’impegno deve esserci da entrambe le parti – continua Mariachiaria, studentessa sedicenne del liceo pedagogico – Noi ragazzi chiediamo più spazi, più momenti di aggregazione, ma non per forza con investimenti o fondi elevati. Sappiamo che è un momento complicato, ma talvolta basterebbe un po’ più di considerazione per iniziative e proposte». E’ vero, c’è anche chi vuole andar via per la semplice voglia di metropoli. «Ma che fa questa città per farci restare?». Laura è sveglia, attiva e spigliata, all’ultimo anno del liceo classico, ammette di aver fatto la valigia da un pezzo. «Che futuro posso avere qui? Che sogni posso inseguire, in una realtà dove vanno avanti i “figli di”?». E se tra i ragazzi c’è chi ha voglia di pratica sportiva, il rischio è di imbattersi in strutture inadeguate: per un allenamento agonistico di arrampicata, tocca andare a Pescara.
«Non resta che rimboccarsi le maniche», spiega Francesca Pecoriello, mentre raccoglie un sacchetto abbandonato da qualche coetaneo in corteo. «Le sembra possibile? Il cassonetto è a due passi». Eccola, allora, l’indignazione sana di chi, a quell’età, non ha ancora perso la speranza, ma gradirebbe vedere qualche sforzo in più. «Da parte di noi stessi ragazzi, ma anche da parte delle istituzioni», fa eco Mafalda Senatore, diciotto anni compiuti da poco e sogni importanti con cui fare i conti. «Sappiamo anche noi essere responsabili». Ed è vero più di quanto si creda.
Giulio Martorano e Leonardo Marchetta, entrambi del liceo Galilei, hanno la faccia pulita e pochi grilli per la testa. «Niente alcol, niente eccessi», hanno voglia di cose normali. Si raccontano e sembrano quasi mosche bianche, pensando allo spettacolo di vicoli e locali del sabato sera. Solo che spesso sembrano difficili anche le cose banali. E a Potenza, dicono, a volte non c’è neanche lo schermo in pizzeria, per la partita con gli amici, per una serata normale.

Sara Lorusso

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