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REGGIO CALABRIA – Aldo Miccichè, il poliedrico faccendiere calabrese per il quale il Tribunale supremo di Caracas ha avviato le pratiche per l’estradizione (CLICCA PER LEGGERE LA NOTIZIA SULL’ESTRADIZIONE), è accusato di associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria “Cent’anni di storia” contro le cosche Molè e Piromalli di Gioia Tauro, sfociata in un’operazione che nel luglio 2008 portò all’arresto di 18 persone. In quella occasione, Miccichè, che da oltre un decennio vive in Venezuela, sfuggì all’arresto, giunto, però, nel luglio 2012 quando le autorità venezuelane hanno eseguito l’ordinanza di custodia cautelare con contestuale richiesta di estradizione emessa dalla magistratura reggina. Secondo l’accusa, Miccichè aveva instaurato i suoi rapporti con i Piromalli quando viveva in Calabria, in particolare con Antonio, figlio del boss Giuseppe. Rapporti che sono proseguiti anche dopo tanto che fu a lui, secondo la Dda, che la cosca si rivolse per cercare di ottenere l’attenuazione del regime di 41 bis per il capo della famiglia, Giuseppe. Un progetto che, secondo quanto scritto nel provvedimento restrittivo, fallì per ”l’impossibilità dei referenti politici e istituzionali contattati di affrontare e risolvere la situazione per tutto un insieme di problemi dovuti sia alla paura dei soggetti di muoversi in un terreno così pericoloso, e sia alle difficoltà giudiziarie del Ministro della Giustizia”. Miccichè, inoltre, assecondò il progetto della cosca che voleva far ottenere l’immunità ad Antonio Piromalli con il conferimento di una funzione consolare per conto di un qualsiasi Stato estero. Quando un cugino di Antonio Piromalli gli illustrò il progetto Miccichè, intercettato, risposte: «Questo lo possiamo fare».

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