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POTENZA – Si chiama Antonio Guglielmi ed è un trentenne potentino l’uomo al centro dell’intrigo a base di politica, soldi e violenza sotto la lente dei pm del capoluogo Laura Triassi e Francesco Basentini.

Nei giorni scorsi Gugliemi, che lavora all’ospedale San Carlo per la ditta vincitrice dell’appalto per le pulizie e i servizi generali, è stato interrogato in Procura con le garanzie previste per gli indagati.

Un atto d’ufficio, l’iscrizione sul registro degli indagati. Dato che è proprio nei suoi confronti che l’avvocato Sergio Lapenna ha indirizzato la denuncia per un’estorsione del valore di 900mila euro complessivi. Mentre era tutt’altro che obbligato il suo interrogatorio alla presenza del legale di fiducia, Maria Scavone. Un segno di particolare attenzione nei suoi confronti, che anche di recente, in altri casi del genere, non è mai stato riservato a nessuno.

Tra gli investigatori che si stanno occupando del caso sembra, insomma, che ci sia chi voglia vederci chiaro, prima di decidere il da farsi. Di qui la scelta di ascoltare l’altra “campana” rispetto ai fatti esposti dal noto politico e penalista potentino: le violenze, le minacce e la persecuzione che Gugliemi avrebbe messo in atto nei suoi confronti. Più i discorsi sugli amici con la pistola, e sul ruolo ricoperto in una delle vicende più inquietanti che ancora aleggiano sul capoluogo.

Nel 1997 Gugliemi non era neanche ventenne, ma dopo il duplice omicidio dei coniugi Gianfredi, trucidati sotto casa il 2 aprile da una coppia di sicari tuttora impuniti, il suo nome venne a galla quasi subito.

Ai carabinieri era arrivato un esposto anonimo su una lite avvenuta verso fine marzo, nei giorni delle festività pasquali, tra la vittima, Giuseppe Gianfredi, e un pregiudicato di Pignola, Gennaro Cappiello.

L’oggetto del contendere sarebbe stata un’auto rubata da Cappiello a un amico di Gianfredi, per cui il primo aveva chiesto un “riscatto” di due milioni e mezzo di lire. Ma una volta restituito il veicolo, dietro la promessa del pagamento, il proprietario avrebbe chiesto l’intervento di Gianfredi, 39enne senza precedenti penali di rilievo, ma un’insospettabile “caratura” negli ambienti della mala. Di qui l’organizzazione della “spedizione punitiva” a cui Guglielmi ha ammesso di aver partecipato.

Due anni dopo per quel “cavallo di ritorno” Cappiello sarebbe stato arrestato. Mentre continuavano ad addensarsi i sospetti sul suo conto come mandante del duplice omicidio, per “vendetta” proprio rispetto all’affronto subito qualche giorno prima.

Il caso vuole che ad assistere Cappiello, fino alla scelta di collaborare con la giustizia, fosse stato Lapenna. Cose che capitano in una piccola città dove anche i destini delle persone più lontane non smettono mai incrociarsi tra loro. 

Ma una volta che Guglielmi si è parato davanti all’avvocato, che all’epoca correva per un seggio in Consiglio regionale con Forza Italia, è difficile che non l’avesse riconosciuto.

Lui stesso lo ha ammesso per quanto nel frattempo fossero passati 7 anni. Intanto quel giovane irruento si era sposato e aveva trovato un lavoro. Perché non dargli una possibilità?

Contattato dal Quotidiano l’avvocato di Guglielmi, Maria Scavone, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.

l.amato@luedi.it

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