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IL rinvio a giudizio mi lascia senza parole, mortificato, attonito.
Esso non intacca la fiducia e il rispetto che nutro nei confronti della giustizia e dei magistrati ma pone degli interrogativi seri e gravi su un reato – il cd “concorso esterno” – che di fatto è indeterminato, contraddittorio e, quantomeno, molto difficile da definire; peraltro, anche considerando la definizione legale più rilevante dello stesso, in ogni caso non mi riguarda e non mi potrebbe riguardare.
Questo lo affermo in virtù della mia condotta umana e politica, sempre limpida, ispirata ai principi di un alto sentire civile e sociale, lontana nel modo più assoluto da ogni collusione con malavitosi e delinquenti.
Se poi, da politico, ho potuto casualmente conoscere e incontrare qualche personaggio che in seguito si è appurato essere vicino o partecipe di clan mafiosi, non l’ho mai fatto con la consapevolezza di questa qualificazione, essendo sempre all’oscuro di questa “doppia faccia”. Ogni politico è avvicinato da migliaia di persone e non si può richiedere il certificato penale a ciascuno, sarebbe impossibile.
Ciò che conta è non commettere reati ed io non ho mai frequentato persone o agito con il fine di commettere un reato, una ingiustizia o con l’obiettivo di dare il mio apporto ad ambienti e persone che sono distanti anni luce dal mio sentire.
Non ho mai avuto bisogno di voti, nel dettaglio di voti “sporchi”, perché ho sempre goduto di ampia stima popolare e non avrei mai sporcato la mia dignità con tale leggerezza; per quale vantaggio poi? Cosa ci avrei guadagnato? Ho sempre ricoperto ruoli apicali nei partiti in cui ho militato godendo del pieno sostegno sul territorio da parte di onesti professionisti e lavoratori, giovani e studenti.
Questo reato, che pure fu introdotto per nobili fini, appare spesso come una scure che cade sulle persone perbene in base ad argomentazioni accusatorie quantomeno opinabili, spesso fondate su pochi e insufficienti elementi e sull’onda di una interpretazione di frasi, parole ed eventi del tutto sproporzionata rispetto alla realtà.
La parola “amici”, ad esempio, viene enfatizzata nelle intercettazioni in senso negativo ed è grottesco. Come è grottesco dare peso ad affermazioni “grossolane” figlie di un carattere passionale, estroverso e pittoresco. Lo stesso, guarda caso, avveniva nel Medioevo ai tempi della Santa Inquisizione quando per colpire gli avversari ci si inventava il crimine di “stregoneria” contro chi preparava medicine naturali scambiate per pozioni letali.
Io affermo che non si può essere al contempo padri di famiglia, professionisti, politici impegnati per il bene della propria comunità e, di fianco, contigui a personaggi e situazioni “criminali”.
C’è una unità in ogni persona che non si può scindere di fronte alle scelte morali, etiche, sociali. Io non ho chiesto e non ho dato alcunché a questa presunta associazione malavitosa, la cui identità, i cui aspetti e i cui fini a me sono sempre stati ignori.
Non è provato alcun reato e non emerge, al di là di ogni ragionevole dubbio, alcun elemento inequivocabile a supporto dell’accusa, come evidenziato dalla splendida difesa dei miei legali, avvocati Cimadomo e Carbone.
Soltanto parole messe assieme ed estratte, evidenziate con forzatura sino a creare una nube di fumo non meritata sulla mia persona. Questa è la mia idea.
Chi compie delle indagini ha un ruolo importante che si ferma dinanzi a ciò che è oggettivo, ma chi deve interpretare le risultanze delle predette indagini ha il dovere di porre la massima attenzione, senza eccedere al ribasso ma nemmeno al rialzo, nelle proprie conclusioni e dove c’è più di un dubbio logico deve smuovere la propria coscienza ai massimi gradi prima di continuare in quella che è una via dolorosa per ogni imputato che sa di aver fatto tutto nel rispetto della legge e del bene.
Ognuno di noi deve poter dormire la notte, io posso farlo perché sono una persona sana moralmente. Altri non so. E di questo ne sono certi tantissimi lucani che come me sono increduli.
In astratto, conoscere un uomo, parlarci, talvolta frequentarlo, magari anche aiutarlo indirettamente a trovare una occupazione – nella convinzione di essere di fronte a una persona lontana da ogni sospetto – non è reato. Non è reato, in astratto, tentare di fare del bene a singole persone, anche se poi si scoprirà in futuro essere state protagoniste di illegalità ben nascoste, cosa che solo un indovino potrebbe compiere, non io, né altri.
In astratto, di conseguenza, non è reato e non è “fosco” organizzare incontri in luoghi pubblici, peraltro del tutto occasionali ed aperti a tutti.
Soprattutto, come evidenziato più volte, è del tutto singolare la modalità che il “clan” avrebbe adoperato per procurare voti al sottoscritto nelle consultazioni del 2005, anno in cui non risulta agli atti alcun elemento di fatto contro di me: è il signor Cossidente a riferire ufficialmente, tra diverse contraddizioni, che egli ed altri avrebbero fatto ricorso al “passaparola” tra amici e parenti per procacciare voti.
Tale ultimo dato è di per sé sufficiente per evidenziare come si tratti della antitesi della mafia e del metodo mafioso, anche per i soggetti interessati e i destinatari.
Ancora, evidente è la circostanza che nel 2005 non vi sono contatti tra chi scrive e il signor Campanella, per me apparso in ogni circostanza come un “ragazzo normale”, educato, affettuoso e disponibile, come tanti altri che si possono conoscere, fino al momento – doloroso e inaspettato – in cui purtroppo è stato evidenziato il suo appartenere al clan malavitoso di cui si tratta.
Il nostro rapporto di conoscenza non era un rapporto di lunga data, di condivisione della quotidianità e tantomeno di affari illeciti. Un semplice rapporto in cui nulla mi ha mai fatto pensare ad “altro”. Nessuno di noi può conoscere il prossimo in ogni suo aspetto o in ogni sua tendenza e attività.
Tutto ciò, per sommi capi, è il segno inequivocabile di una assenza di supporto elettorale da parte del clan – a me sconosciuto all’epoca dei fatti contestati – del Cossidente e viceversa.
Infatti, non sussiste alcun elemento concreto dal quale si possa desumere che tra me e il Cossidente vi fosse un legame di affari o di amicizia; è, invece, provato il contrario, poiché il Cossidente, in veste di collaborante di Giustizia, racconta episodi, riguardanti chi scrive, a lui riferiti da terze persone, ma di cui lo stesso non è mai stato testimone né attore principale.
Tante altre sarebbero le cose da dire, ma lo si farà nelle sedi opportune. Credevo e speravo in un altro esito. Ma la fiducia nella giustizia non è andata perduta, la coltivo sempre e nonostante tutto.
Lotterò come sempre e la verità, presto o tardi, emergerà trionfante. Anche se aspetteremo anni.
Oggi si crede più alla parola di un pentito, già caduto in evidenti contraddizioni, che a quella di un galantuomo che ha fatto e fa solo del bene al prossimo. Questo dovrebbe far riflettere tutti sui tempi che viviamo e su quanto si debba lottare per ottenere giustizia in questo Paese.
Con fede posso solo dire : “Beati i perseguitati a causa della giustizia!”. Ma sono certo di un cambio di passo nei prossimi appuntamenti in cui si potrà dimostrare quanto sostengo e per questo mi affido all’equilibrio, alla prudenza e alla saggezza di chi dovrà giudicare e stabilire cosa è giusto e vero in tutta questa incredibile vicenda dai contorni foschi.
Perché vinca sempre la giustizia “giusta”, libera, sopra le parti e perché sia restituita piena dignità e decoro a chi merita, nessuno escluso, in questa e in altre vicende, in cui soffrono persone che meritano ben altra considerazione.
Ringrazio tutti gli elettori che mi sono sempre vicini con messaggi, lettere e manifestazioni di affetto, il mio partito, i miei pazienti, i colleghi e i seri cittadini per i quali il mio nome è e sarà sempre sinonimo di onestà, professionalità e generosità.

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