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L’omicidio di via Parigi: il ruolo ambiguo di una dipendente di Abruzzese nella lite con Stefanutti
Il triangolo di miss videopoker
L’ex pugile: «Volevano dare un figlio a un prestanome così ho rifiutato il comparizio»
UNA dipendente con l’unica colpa di aver suggerito al suo capo di troncare gli affari con l’uomo che a distanza di un mese l’avrebbe trucidato. O un’amica speciale per cui lui ha messo a repentaglio la famiglia e il rispetto dei suoi «compari», finendo per armarsi e andare incontro alla morte proprio per mano di uno di loro. 
Ci sarebbe una donna dietro il litigio tra Donato Abruzzese e Dorino Stefanutti, l’imprenditore specializzato nella distribuzione di macchinette da videopoker e l’ex pugile pluripregiudicato, che lo scorso 29 aprile è sfociato nella sparatoria in cui il primo è rimasto ucciso. Il suo ruolo è controverso e non è escluso che si trascini nell’ambiguità ancora a lungo. Infatti è proprio su questo che ruotano le ipotesi sui motivi alla base di quanto accaduto, un dato imprescindibile per gli investigatori come per l’assassino intenzionato a sostenere fino in fondo la legittima difesa. 
Negli atti dell’inchiesta coordinata dal pm Francesco Basentini sono diversi i riferimenti che affiorano nei suoi confronti. Stefanutti, il giorno in cui si è consegnato agli agenti della mobile guidati dal vicequestore Carlo Pagano, è arrivato persino a sostenere di aver rifiutato di fare da padrino al figlio di Abruzzese, perché lui si era messo d’accordo con lei per avere un bimbo e «intestarlo» al fratello di un suo amico, come aveva già fatto per un bar. «Gli dissi pure io: “Compare, ma finiscila (…) Sei diventato proprio uno schifoso”». Queste sarebbero state le parole dell’ex pugile 54enne all’amico, dopo che per poco non aveva accoltellato la moglie, a suo dire impazzita di gelosia al punto di minacciare assieme al figlio di «buttarsi dal balcone». Per tutta risposta Abruzzese gli avrebbe intimato di farsi i fatti suoi, al che qualche giorno più tardi di fronte alla richiesta di fare «da compare» alla comunione del ragazzo Stefanutti si sarebbe tirato indietro. «Non è per te, per *** o la famiglia tua – ha raccontato di aver riferito alla moglie dell’imprenditore – ma è proprio per compare Donato. Perché non… non mi va (…) E’ una cosa sacra». 
Così la sera prima dell’omicidio seduto al tavolo dell’imprenditore di Potenza in uno dei ristoranti più prestigiosi assieme a un sacerdote, Don Nicola Moles, sarebbe ritornato proprio sulla questione. «Mi sa che ho parlato pure con il prete in merito al fatto di… un sacramento che cosa vuol dire un sacramento quello e quell’altro. Proprio in merito a questa cosa, quando io gli ho detto pure a Donato questo fatto: “Non ci vengo perché mi fai schifo”. Gli ho detto così». 
Agli investigatori il parroco del paese d’origine di Abruzzese ha detto di aver discusso soltanto in generale di chiesa e di povertà, mentre l’amico che l’accompagnava ha riferito che l’ex pugile, a lungo considerato il braccio destro del boss Renato Martorano, avrebbe ammesso di «aver fatto del male ma di aver fatto pure tanto bene». 
Molto diversa infine è la versione fornita dalla donna in questione, sentita per ben due volte dagli investigatori: una volta in questura e una volta negli uffici dell’antimafia al quarto piano del Palazzo di giustizia di Potenza, dopo che Stefanutti si era costituito. «So per certo che i rapporti tra i due nel passato erano stati sempre buoni. Abruzzese aveva anche cercato di dare una mano a Stefanutti nel settore dei videogiochi dandogli la possibilità di installare alcune macchinette all’interno dei locali che gestiva». Ma da un paio di mesi a questa parte qualcosa si era rotto perché Abruzzese non sarebbe stato «più disposto ad accettare la presenza delle macchinette all’interno dei suoi locali. Inoltre non tollerava più la presenza di Stefanutti nelle sue sale giochi perchè la riteneva sconveniente». Per questo gli avrebbe chiesto di togliere la “sua” macchinetta dal bar dove lei lavorava e i due avrebbero cominciato a litigare. «Abruzzese temeva che lo volesse scalzare dalla gestione dei videogiochi, un settore al quale aveva dedicato tutta la sua vita (…) Per questa ragione decise di troncare ogni rapporto di natura “economica” (le virgolette sono nel verbale, ndr) con lui». Qui però si sarebbe insinuato il sospetto: «Stefanutti contestava ad Abruzzese di seguire molto i miei consigli: in pratica sosteneva che la decisione di allontanarlo dalla gestione delle macchinette era stata presa su mio suggerimento».
Tornando invece ai discorsi della sera prima dell’omicidio il suo racconto rivela quello che la vittima le avrebbe riferito subito dopo essere usciti dal ristorante quando si sono incontrati. Poco prima che lui tornasse a casa, dove qualche minuto più tardi sarebbe sopraggiunto il suo assassino. «Mi ha detto che Stefanutti in maniera molto provocatoria si era rivolto al sacerdote Don Nicola chiedendogli “di essere assolto da tutti i peccati fatti e da quelli che avrebbe fatto in futuro”».
Nessun altro accenno ai suoi rapporti con l’imprenditore 44enne. Anche se un nipote del “presidente” (così veniva chiamato Abruzzese dato che a lungo ha gestito un circolo ricreativo a Poggio Tre Galli) ne aveva già parlato con gli inquirenti, il giorno stesso del delitto. «Credo che tra *** e mio zio vi fossero rapporti non solo di natura lavorativa». Una sensazione o poco più, che rischia di confondere la ricostruzione del movente dell’omicidio. Perché in realtà gli affari tra i due ex amici restano tutt’altro che chiari. 
l.amato@luedi.it

UNA dipendente con l’unica colpa di aver suggerito al suo capo di troncare gli affari con l’uomo che a distanza di un mese l’avrebbe trucidato. O un’amica speciale per cui lui ha messo a repentaglio la famiglia e il rispetto dei suoi «compari», finendo per armarsi e andare incontro alla morte proprio per mano di uno di loro. Ci sarebbe una donna dietro il litigio tra Donato Abruzzese e Dorino Stefanutti, l’imprenditore specializzato nella distribuzione di macchinette da videopoker e l’ex pugile pluripregiudicato, che lo scorso 29 aprile è sfociato nella sparatoria in cui il primo è rimasto ucciso. Il suo ruolo è controverso e non è escluso che si trascini nell’ambiguità ancora a lungo.

Infatti è proprio su questo che ruotano le ipotesi sui motivi alla base di quanto accaduto, un dato imprescindibile per gli investigatori come per l’assassino intenzionato a sostenere fino in fondo la legittima difesa. Negli atti dell’inchiesta coordinata dal pm Francesco Basentini sono diversi i riferimenti che affiorano nei suoi confronti. Stefanutti, il giorno in cui si è consegnato agli agenti della mobile guidati dal vicequestore Carlo Pagano, è arrivato persino a sostenere di aver rifiutato di fare da padrino al figlio di Abruzzese, perché lui si era messo d’accordo con lei per avere un bimbo e «intestarlo» al fratello di un suo amico, come aveva già fatto per un bar. «Gli dissi pure io: “Compare, ma finiscila (…) Sei diventato proprio uno schifoso”»
Queste sarebbero state le parole dell’ex pugile 54enne all’amico, dopo che per poco non aveva accoltellato la moglie, a suo dire impazzita di gelosia al punto di minacciare assieme al figlio di «buttarsi dal balcone». Per tutta risposta Abruzzese gli avrebbe intimato di farsi i fatti suoi, al che qualche giorno più tardi di fronte alla richiesta di fare «da compare» alla comunione del ragazzo Stefanutti si sarebbe tirato indietro. «Non è per te, per *** o la famiglia tua – ha raccontato di aver riferito alla moglie dell’imprenditore – ma è proprio per compare Donato. Perché non… non mi va (…) E’ una cosa sacra». 

Così la sera prima dell’omicidio seduto al tavolo dell’imprenditore di Potenza in uno dei ristoranti più prestigiosi assieme a un sacerdote, Don Nicola Moles, sarebbe ritornato proprio sulla questione. «Mi sa che ho parlato pure con il prete in merito al fatto di… un sacramento che cosa vuol dire un sacramento quello e quell’altro. Proprio in merito a questa cosa, quando io gli ho detto pure a Donato questo fatto: “Non ci vengo perché mi fai schifo”. Gli ho detto così». 

Agli investigatori il parroco del paese d’origine di Abruzzese ha detto di aver discusso soltanto in generale di chiesa e di povertà, mentre l’amico che l’accompagnava ha riferito che l’ex pugile, a lungo considerato il braccio destro del boss Renato Martorano, avrebbe ammesso di «aver fatto del male ma di aver fatto pure tanto bene». Molto diversa infine è la versione fornita dalla donna in questione, sentita per ben due volte dagli investigatori: una volta in questura e una volta negli uffici dell’antimafia al quarto piano del Palazzo di giustizia di Potenza, dopo che Stefanutti si era costituito. «So per certo che i rapporti tra i due nel passato erano stati sempre buoni. Abruzzese aveva anche cercato di dare una mano a Stefanutti nel settore dei videogiochi dandogli la possibilità di installare alcune macchinette all’interno dei locali che gestiva». Ma da un paio di mesi a questa parte qualcosa si era rotto perché Abruzzese non sarebbe stato «più disposto ad accettare la presenza delle macchinette all’interno dei suoi locali. Inoltre non tollerava più la presenza di Stefanutti nelle sue sale giochi perchè la riteneva sconveniente». 

Per questo gli avrebbe chiesto di togliere la “sua” macchinetta dal bar dove lei lavorava e i due avrebbero cominciato a litigare. «Abruzzese temeva che lo volesse scalzare dalla gestione dei videogiochi, un settore al quale aveva dedicato tutta la sua vita (…) Per questa ragione decise di troncare ogni rapporto di natura “economica” (le virgolette sono nel verbale, ndr) con lui». Qui però si sarebbe insinuato il sospetto: «Stefanutti contestava ad Abruzzese di seguire molto i miei consigli: in pratica sosteneva che la decisione di allontanarlo dalla gestione delle macchinette era stata presa su mio suggerimento».

 

Tornando invece ai discorsi della sera prima dell’omicidio il suo racconto rivela quello che la vittima le avrebbe riferito subito dopo essere usciti dal ristorante quando si sono incontrati. Poco prima che lui tornasse a casa, dove qualche minuto più tardi sarebbe sopraggiunto il suo assassino. «Mi ha detto che Stefanutti in maniera molto provocatoria si era rivolto al sacerdote Don Nicola chiedendogli “di essere assolto da tutti i peccati fatti e da quelli che avrebbe fatto in futuro”».Nessun altro accenno ai suoi rapporti con l’imprenditore 44enne. Anche se un nipote del “presidente” (così veniva chiamato Abruzzese dato che a lungo ha gestito un circolo ricreativo a Poggio Tre Galli) ne aveva già parlato con gli inquirenti, il giorno stesso del delitto. «Credo che tra *** e mio zio vi fossero rapporti non solo di natura lavorativa». Una sensazione o poco più, che rischia di confondere la ricostruzione del movente dell’omicidio. Perché in realtà gli affari tra i due ex amici restano tutt’altro che chiari.

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